La Dea Fortuna: torna il “cinema dei volti” di Ferzan Ozpetek, che emoziona ma con riserva

Incontratisi per la prima volta in un santuario della Dea Fortuna, Alessandro (Edoardo Leo) ed Arturo (Stefano Accorsi) stanno insieme da circa quindici anni, tra alti e bassi. Durante una delle loro vivaci serate, arriva Annamaria (Jasmine Trinca), l'amica di vecchia data che li ha fatti conoscere e che chiede loro il favore di badare ai due figli, di 9 e 12 anni, durante la sua permanenza in ospedale per delle analisi.

Dopo il decisamente poco riuscito Napoli velata, Ferzan Ozpetek torna alla ribalta con una storia molto più nelle sue corde, figlia di tutta una filmografia che fa della famiglia il suo punto focale, intesa nella maniera più inclusiva possibile, e di una cultura, nonché sensibilità, particolari.

Seppur non chissà quanto originale dal punto di vista narrativo, trattando di argomenti quali la vita di coppia, la malattia, le responsabilità, i tradimenti, La Dea Fortuna mostra in più di un'occasione  momenti di scrittura brillante, sempre saldamente ancorata alla realtà ma dotata di un'ironia fresca, accattivante, preziosa. Numerose sono infatti le battute degne di nota e caratterizzanti ognuna delle personalità in campo.
Grazie anche alle prove dei suoi protagonisti – Leo una spanna sopra tutti – la pellicola riesce a divertire ed emozionare nella giusta misura, andando a toccare corde intime e personali, a seconda del vissuto di ciascuno.

Il problema più grande sta però nel non riuscire a (o voler?) sfumare alcune situazioni, che arrivano così falsate, o meglio forzate, all'interno di una narrazione di per sé estremamente delicata e complessa. Ecco allora che l'amalgama generale sembra in qualche modo risentirne, portando talvolta ad un distacco che, per quanto minimo, va ad incrinare la fruizione.

Sfortunatamente privo di quella “sostanza” che in precedenti occasioni aveva lasciato una sensazione di pienezza al termine della visione, La Dea Fortuna fa comunque il suo: con un'apertura che strizza l'occhio alle suggestioni horror ed un finale aperto e pieno di speranza, il nuovo lavoro del cineasta turco fotografa uno spaccato di vita realistico e, in quanto tale, doloroso e variegato, dal quale nascono tutta una serie di riflessioni e suggestioni su ciò che significa amare, prendersi cura l'uno dell'altro, riconoscersi e correre dei rischi affinché le cose vadano come si vuole.

Il fatto che i tre protagonisti abbiano come iniziale del loro nome la A sembra quasi un omaggio al grande ed incondizionato sentimento che li lega e che spesso li porta a porsi delle domande. Non a caso la vera forza del progetto risiede nelle dinamiche interpersonali, enfatizzate a livello emotivo dalla presenza dei bambini che permettono, tanto ai personaggi quanto agli stessi spettatori, di osservare le cose da una diversa prospettiva. E il “cinema dei volti” di Ozpetek è lì pronto a darle forma.