La Corte
Un motivo c'è per cui Dio ha creato i francesi, non per i croissant né per le madeleine, ma per i film d'amore.
Se ancora ce ne fosse bisogno, questa volta è Christian Vincent a dimostrarlo. La (non) storia d’amore tra Michel Racine e Ditte Lorensen-Coteret (danese nel film, come danese nella vita è l’attrice Sidse Babett Knudsen) è raccontata dalla cattedra di un Tribunale dove si sta giudicando un caso di infanticidio (un padre è accusato di aver trucidato la propria piccola di 7 mesi). Trai giurati della Corte d’assise presieduta da Michel Racine c’è Ditte che lui aveva segretamente amato quando, costretto in un letto di ospedale per un brutto incidente, lei le “teneva la mano” e il ricordo di quel discreto contatto è per Michel ancora motivo di grande felicità e passione. Glielo dice in un bistrot, declamando “Le Passanti” di Brassens, sbeffeggiato dall’adolescente indifferenza della figlia di lei (Brassens contro smartphone, uno scontro generazionale epico quanto impietoso) , ma il solo sorriso di Ditte è sufficiente per compensarlo da qualsiasi umiliazione.
Il film, serrato nella vicenda giudiziaria che si racconta – ma non è amore anche quello che muove l’imputato? – si dipana in momenti di dialoghi, ora a due, ora a più persone, che inquadrano i personaggi e definiscono il contesto in cui ci si muove. Siamo anella provincia francese – Le Havre o giù di lì – la società è il frutto di una lunga integrazione che permette a cittadini di origine araba di far parte di una giuria popolare di un Tribunale di una grande democrazia occidentale.
E in un contesto del genere è possibile innamorarsi della propria anestesista, è plausibile confessarglielo, è ragionevole sperare di essere corrisposto. Basta trovare le parole giuste, basta essere sinceri, basta essere capaci di cambiare e scrollarsi di dosso l’abito che noi stessi ci siamo cuciti, nel caso di Michel, quello di un giudice inflessibile, che della forma e della procedura ha fatto la propria unica e inflessibile regola di vita.
Perché quello che ci dice Vincent – autore oltre che regista del film – è che l’amore è anche abnegazione e sacrificio, è un cedere qualcosa di se stesso senza aspettarsi una moneta di scambio. E se a dircelo ed a rappresentarcelo è un attore come Fabrice Luchini (vincitore della Coppa Volpi a Venezia) , con parole semplici e sincere e con quello sguardo timido e stupito, come quello di un bambino che vede per la prima volta il mare, anche i cuori più duri si sciolgono, come pupazzi di neve al primo sole di primavera.