La coppia dei campioni
Il titolo potrebbe erroneamente spingere a pensare che si tratti dell’ennesimo lungometraggio calcistico interpretato da Massimo Boldi sulla falsariga dei suoi precedenti successi Fratelli d’Italia (1989) e Tifosi (1999) di Neri Parenti; ma le cose non stanno affatto così, in quanto, lontano da agguerriti teppisti da stadio e illustri apparizioni per star del pallone, Cipollino veste in questo caso i panni del benestante dipendente milanese di una multinazionale per cui lavora anche un nullatenente romano incarnato da Max Tortora.
Entrambi vincitori alla lotteria aziendale di un biglietto per la finale della Champions League, s’incontrano per la prima volta all’imbarco per Praga e, costretti ad un atterraggio in Slovenia a causa di una turbolenza, danno inizio alla tipica sequela di disavventure e scontri tra due individui appartenenti a diverse classi sociali su cui il regista Giulio Base mira a strutturare la quasi ora e mezza di visione.
Quasi ora e mezza di visione comprendente nel cast anche Loredana De Nardis nel ruolo di una hostess piuttosto particolare, Anna Maria Barbera in quello dell’amante di Boldi (residente sul suo stesso pianerottolo!) e Flora Canto impegnata a fare da moglie a Tortora, oltretutto fornito di anziana e non più lucidissima mamma.
Un campionario di personaggi di cui, però, l’unico a lasciare un minimo il segno sembra essere Massimo Ceccherini, purtroppo relegato soltanto in una brevissima ma divertente apparizione in qualità di magnaccia.
Perché, sebbene la dichiarata intenzione di colui che si trova dietro la macchina da presa sia quella di omaggiare cult e classici della comicità a stelle e strisce quali Un biglietto in due (1987) di John Hughes, Scemo & più scemo (1994) di Peter Farrelly e Parto col folle (2010) di Todd Phillips, tra gag in aeroplano con mega panino nelle mani di un grassone, goffi metodi per abbordare donne ostentando ricchezza e lusso e imprevisti a base di abbondantemente svestite escort e film hard trasmessi in televisione, le occasioni per sprofondare in risate latitano non poco.
Tanto più che neppure gli esilaranti accenni di imitazione tortoriana di Alberto Sordi e i dialetti riletti come di consueto dall’ex compagno di avventure cinematografiche natalizie di Christian De Sica risultano sufficienti a salvare un agglomerato che, tempestato di battute oscillanti tra il greve e il triste (citiamo solamente “So’ parte italiano e parte nopeo”), azzarda addirittura un grottesco flashback malinconico destinato ad accentuarne ulteriormente il look generale degno di una fiction per il piccolo schermo... fino ad un’ultima pillola posta dopo i titoli di coda.