La ballata di Buster Scruggs: la sagace inventiva “coeniana” applicata al western in un film a episodi divertente e malinconico
I terribili fratelli statunitensi Joel ed Ethan Coen tornano in concorso al Festival di Venezia con The Ballad of Buster Scruggs (letteralmente la ballata di Buster Scruggs), un’opera in sei episodi che racconta nello stile di una vera e propria ballata, appunto, il polveroso West declinato nelle sue molteplici e possibili sfaccettature.
Prodotto da Netflix e girato interamente in digitale, The Ballad of Buster Scruggs svolge in 132 minuti di tempo il filo grottesco e sadico, sagace e divertente di sei storie e protagonisti diversi, tutti raccordati nel filo comune di una riflessione sulla vita, sulla caducità della stessa, sulle occasioni colte o mancate che, proprio come un colpo di pistola inflitto o subito, possono cambiare in un attimo il corso dell’esistenza.
Un cowboy cantante, un ladro di banche dal destino segnato, uno show teatrale itinerante, un cercatore d’oro imperterrito, una ragazza in viaggio con due guide, e una diligenza in viaggio per chissà dove sono gli elementi cardine di questi sei episodi che vedono nel nutrito cast nomi di attori celebri come Tim Blake Nelson, James Franco, Liam Neeson e Tom Waits.
Ancora una volta immersi nel West (lo avevano già fatto in lavori come Non è un paese per vecchi del 2007 o Il grinta del 2010), i Coen raccontano questi spazi enormi e desolati come luoghi magici e grotteschi, abitati da personaggi stralunati e straordinari sempre in grado di esercitare in maniera altalenante il gioco del loro acume o della loro stoltezza al fine di sopravvivere (più o meno a lungo) in luoghi che appaiono come lande desolate, appartenenti a tutti o a nessuno. Alla ricerca di qualcosa che forse nemmeno loro sanno bene cosa sia (l’oro, i soldi, l’amore, o forse più banalmente sé stessi), i protagonisti di The Ballad of Buster Scruggs abitano - alternando la musicalità del canto al fragore degli spari - quegli enormi spazi deserti e quei silenzi fagocitanti muovendosi nel senso di una contemplazione profonda sull’uomo e sulla sua natura, spesso più combattiva e tenace di quanto non si immagini. Tra inopinati conflitti a fuoco e tenaci corse all’oro, pastoni di biada e bicchieri di whisky, saloon e prostitute, l’opera dei Coen trova lo spiraglio giusto per trasformare poco alla volta il guizzo grottesco e sarcastico dei primi episodi nell’atmosfera ben più nostalgica e contemplativa della seconda parte, lasciandosi alle spalle la polvere sollevata dalle diligenze per imboccare la strada del confronto sull’amore, sul conforto reciproco, e sulla vera natura della vita, quella che muta di continuo le nostre certezze estemporanee in uno stato di stabile incertezza.
Fucina inesauribile, e forse per certi versi anche ineguagliabile, di idee e inventiva il genio artistico dei due fratelli americani (che ancora una volta scrivono e dirigono insieme) continua senza alcun dubbio a dare grande prova di sé, e anche molte soddisfazioni in fatto di cinema. Assurda, cinica, grottesca ma anche tutto sommato romantica, questa sorta di mini serie è ancora una volta la conferma di un duo artistico che scrive e dirige con assoluta consapevolezza del mezzo, ma soprattutto con grande e incrollabile passione. Un talento innato, innervato dal divertimento sperimentato e trasmesso per ciò che piace, e che senza grandi difficoltà raggiunge inalterato lo spettatore regalando sempre (come anche in questo caso) film di notevole originalità e godibilità.