Kung Fu Panda 3
DreamWorks Animation porta per la terza volta sul grande schermo il panda Po, ovvero l’eroe più improbabile della storia delle arti marziali, doppiato da Jack Black (e da Fabio Volo nell’edizione italiana) e stavolta diretto non solo dalla Jennifer Yuh Nelson che già si occupò di Kung fu panda 2 (2011), ma anche dall’esordiente bolognese Alessandro Carloni, collaboratore dei due precedenti capitoli e di Dragon Trainer 2 (2014) di Dean DeBlois.
In maniera analoga a quanto avvenuto nel secondo film, anche in questo caso ci si concentra in buona parte sul passato del morbidoso protagonista bianco e nero, il cui padre Li, scomparso da tempo, riappare improvvisamente, permettendo a entrambi di andare in un paradiso segreto dei panda per incontrare un manipolo di nuovi spassosissimi orsi.
Man mano che ritroviamo in scena non solo il mentore Shifu, cui presta la voce Dustin Hoffman nella versione originale, ma anche i maestri Tigre, Scimmia, Vipera, Mantide e Airone, dietro ai quali si nascondono rispettivamente Angelina Jolie, Jackie Chan, Lucy Liu, Seth Rogen e David Cross.
Un nutrito gruppetto ora affiancato da Bryan Cranston e dal premio Oscar J.K. Simmons che forniscono personalità vocale al succitato Li e al super cattivo Kai, proveniente da un’altra dimensione ed interessato ad estendere il proprio potere su tutta la Cina.
Il Kai che Po – oltretutto intento a scoprire da dove proviene e quali sono i componenti della sua famiglia naturale – deve ovviamente cercare di fronteggiare, arrivando a capire la maniera in cui insegnare ad un intero villaggio di esuberanti ma goffi compagni a diventare la più grande squadra di Kung Fu Panda.
Durante oltre un’ora e mezza di visione non priva di esilaranti momenti nostalgici e che mira evidentemente ad aggiungere una marcia in più alla saga trascinando all’interno del Chi (invisibile energia elettromagnetica che scorre negli elementi) il percorso non privo di emozioni e di illuminanti sorprese, oltre che di gag ben assestate per divertire spettatori piccoli e grandi.
Sebbene, con una struttura generale tutt’altro che distante da quella dei lungometraggi predecessori, sia il poco sviluppo della nuova famiglia-villaggio – caratterizzata soltanto in minima parte – a rivelarsi il neo del comunque godibile elaborato, insieme ad una certa mancanza di freschezza nell’originalità della storia.
Quindi, complici le immancabili figuracce di Po, si ride ancora, seppur tramite il tassello meno convincente della (per ora) trilogia.