Jukai – La foresta dei suicidi: un incubo per (non) Dormer

È il Lawrence Bender che ha finanziato buona parte della filmografia di Quentin Tarantino a figurare in qualità di produttore esecutivo del primo lungometraggio diretto da Jason Zada, già tra gli sceneggiatori di Halloween night di Bobby Roe. Lungometraggio il cui titolo Jukai – La foresta dei suicidi fa riferimento a quella che, chiamata anche Aokigahara, si erge maestosa ai piedi del Monte Fuji in Giappone. Perché Jukai significa “mare di alberi” ed è proprio tra essi che s’immerge l’americana Sara Price incarnata dalla Natalie Dormer della serie televisiva Il trono di spade, dal momento in cui la sorella gemella Jess vi è scomparsa lasciando una scia di misteri.

Un’avventura che intraprende affiancata dalla guida forestale Michi alias Yukiyoshi Ozawa e dal giornalista espatriato Aiden, ovvero il Taylor Kinney di Tutte contro lui; man mano che apprende non solo che nella boscaglia in questione ciò che le persone vedono di brutto o strano è soltanto nella loro testa e non reale, ma anche che nel posto gli spiriti tornano spesso arrabbiati perché non trovano pace.

D’altra parte, tra volume del sonoro che aumenta all’improvviso in modo che lo spettatore balzi dalla poltrona e immancabili apparizioni spettrali, risulta piuttosto evidente che sia dal cinema horror orientale d’inizio XXI secolo – portato al successo da Ringu di Hideo Nakata e Ju-on di Takashi Shimizu – che sono influenzati i circa novantatré minuti di visione, comprendenti nel cast anche l’Eoin Macken di Residen evil: The final chapter nei panni del marito della protagonista.  

Circa novantatré minuti di visione che, proprio come avviene nelle produzioni di paura provenienti dal Sol Levante, si evolvono lentamente al fine di infittire fotogramma dopo fotogramma l’intrigo; per poi riservare un primo colpo di scena non appena è superata la metà dell’operazione. Fino alla non disprezzabile conclusione di un elaborato non particolarmente originale ed esaltante, ma efficace nell’inscenare la vegetazione infestata in maniera avvolgente di presenze e caratterizzato da una confezione tecnica capace di rimanere nell’ambito della media.