Io prima di te
Il primo che vediamo in scena è il Sam Claflin della saga Hunger games nei panni di Will Traynor, facoltoso banchiere dall’animo avventuroso abituato a vivere la propria esistenza al massimo, ma che, immediatamente, rimane coinvolto in un tragico incidente destinato a costringerlo su una sedia a rotelle e con il corpo quasi completamente paralizzato.
Anticipando l’arrivo della giovane Louisa Clark detta Lou nella grande tenuta dei Traynor, la quale, perduto il posto di cameriera e facente parte di una famiglia che può contare unicamente sulle entrate portate da lei, accetta proprio di lavorare come badante al servizio del disabile.
La Lou cui concede anima e corpo la Emilia Clarke della serie televisiva Il trono di spade come pure il Charles Dance impegnato ad incarnare il padre del protagonista; quest’ultimo non indifferente alla personalità frizzante ed alla natura semplice della ragazza, tanto da diventare entrambi ciò di cui l’altro necessita.
Perché, mentre vanno insieme ad assistere a concerti di musica classica e lei comincia anche a visionare film sottotitolati, è la loro mutazione atta a condurli ad imparare a conoscersi meglio ad essere privilegiata dalla regista Thea Sharrock – proveniente dal teatro e dal piccolo schermo – nel trasporre in fotogrammi l’omonimo romanzo best seller scritto da Jojo Moyes.
Un rapporto che, in fin dei conti, non incarna altro che l’ennesimo incontro-scontro tra due diverse classi sociali, in questo caso individuante i suoi maggiori pregi nei due funzionali interpreti e in indispensabili dosi d’ironia (che non guasta mai).
Pregi capaci di rendere piacevole la visione, però, solamente fino ad un certo punto; in quanto, se da una parte un evidente infiacchimento della narrazione non manca di lasciarsi avvertire in anticipo rispetto alla metà dell’operazione, dall’altra rappresenta soltanto il meno importante dei difetti su cui focalizzare l’attenzione.
Del resto, trattandosi di una produzione sfornata da una major, difficilmente vi si possono individuare pecche relative al lato tecnico-artistico; mentre, a cominciare dalla continua, sfrontata esaltazione a tutti i costi della ricchezza quale ingrediente della felicità (compreso l’inaccettabile epilogo), vi è non poco da tirare in ballo per contrastare addirittura la definizione della già citata Sharrock: “In sostanza, questa è una storia sul potere dell’amore e di come ci trasforma”.
Tanto che sorgerebbe spontaneo chiederle se, nel caso in cui il lui in questione fosse stato tutt’altro che bello e miliardario, la love story avrebbe comunque potuto prendere forma. Considerando soprattutto il fatto che non siamo più nell’epoca in cui il benestante Ryan O’Neal rimaneva fino alla fine accanto alla modesta studentessa Ali MacGraw malata di leucemia e neppure in quella che fece dell’affarista Richard Gere e della prostituta Julia Roberts i volti-idoli del romanticismo in commedia; bensì nel millennio cinematografico che, figlio di Sex & the city e di tutta la sua tanto moderna quanto retrograda filosofia femminista mirata a rifilare furbescamente storie d’amore legate più alla consistenza del portafogli e delle prestazioni sessuali che alla grandezza del cuore, illude le spettatrici maggiormente influenzabili perfino di trovarsi dinanzi ad una commovente vicenda sentimentale quando una illibata precaria si lascia sottomettere da un più che agiato sadomasochista.
Una filosofia che abbraccia, a suo modo, anche Io prima di te, che arriva a sfiorare il più offensivo classismo proto-capitalista, come se non bastasse, nel porre pensieri relativi all’eutanasia nella testa di un abbiente personaggio che, nonostante la triste situazione, dovrebbe affrontarla nella stessa maniera in cui, nella vita reale, resistono persone molto più sfortunate dal punto di vista economico e sociale.
Aspetto che passerà sicuramente inosservato agli occhi di quella fetta di pubblico – non necessariamente costituita dal gentil sesso – che continuerà a versare lacrime quando il lungometraggio occuperà i caldi palinsesti tv estivi (per i quali sembra più adatto), regalando la immorale favoletta a tante casalinghe disperate... così rimaniamo in tema di danni arrecati dal tubo catodico alla Settima arte.