In Nome di Mia Figlia

Troppo spesso, a causa delle inefficienze della macchina giudiziaria, si è portati a pensare che l’unico mezzo disponibile per ottenere giustizia sia la vendetta privata. Vincent Garenq, che già nel 2011 in Presume Coupable aveva puntato il dito contro le ambiguità del sistema giuridico francese, con lo struggente In Nome di Mia Figlia - tratto da un fatto realmente accaduto, diventato poi romanzo - racconta come la testardaggine di un solo uomo possa averla vinta su qualsiasi ostacolo legislativo.

In Nome di Mia Figlia narra la storia della misteriosa morte di una quattordicenne, Kalinka, e della perseveranza di suo padre, André Bamberski (Daniel Auteuil), un uomo che, abbandonato dagli affetti più cari, ha lottato per trent’anni contro i tribunali tedeschi e francesi per far incriminare, con l’accusa di violenza carnale e omicidio, il patrigno di Kalinka, il dottore tedesco Dieter Krombach (Sebastian Koch).

Vincent Garenq, nonostante la tragicità della storia, non cade mai nel tranello del melodramma, riuscendo così a realizzare un film toccante, coinvolgente, a tratti devastante. Sì, perché il regista d’oltralpe, sapientemente, non sfrutta il dolore come facile merce di scambio con lo spettatore: le scene che ritraggono Bamberski distrutto dalla sofferenza sono infatti ridotte al minimo, ma quelle poche inquadrature cariche di sobria disperazione appaiono d’improvviso con potenza micidiale,  una granata di emozioni da togliere il fiato.

Il cineasta francese, lavorando su due linee narrative parallele, rappresenta sia l’ossessione che può colpire un individuo alla ricerca di giustizia, che le farraginose, quanto lente, burocrazie processuali a cui un semplice cittadino è costretto a piegarsi. André Bamberski è però tutt’altro che una persona comune: qualunque altro essere umano al suo posto avrebbe gettato la spugna… ma non lui. La sua caparbietà nel procurasi tutti i dossier relativi al decesso della figlia - avvenuto in Germania, dove Kalinka si era trasferita dalla Francia con il fratello per seguire la madre e il di lei nuovo compagno -, la sua ostinazione nel non darsi mai per vinto, il piglio deciso con cui ogni mattina si sveglia per affrontare una nuova battaglia, sono tutti elementi che sottolineano lo spessore caratteriale di quest’uomo: un moderno Davide che sconfigge Golia a suon di tenacia.

Daniel Auteuil, se ancora a qualcuno fosse sfuggito, è un gigante di bravura. La sua recitazione, sempre splendidamente in sottrazione, vale ben più del prezzo del biglietto. I suoi occhi lucidi che trattengono le lacrime, incastonati nel volto contratto e dignitosamente trasfigurato dalla disperazione, raffigurano forse una delle massime interpretazioni dell’attore transalpino: il transfert è immediato, servito senza ornamenti ridondanti da uno sguardo indimenticabile. Anche Sebastian Koch, e Marie-Josée Croze nelle vesti di Dany, ex moglie di Bamberski, si rivelano  un’ottima scelta. Il personaggio affidato alla Croze è senza dubbio quello più inquietante, Garenq  riesce infatti a tratteggiare magistralmente la figura di una donna che nega a se stessa l’evidenza delle cose, creando nel pubblico un misto di pietà e incredulità. Può una madre diventare così cieca da coprire l’assassino della propria figlia? Questa, la domanda che peserà in platea come un macigno, lasciando la risposta alla coscienza di un pubblico già da tempo in balia della commozione.

In Nome di Mia Figlia è un film che in 87 minuti di proiezione riesce a racchiudere 30 anni di vita: un lavoro perfetto che scorre via veloce grazie a un ritmo mai calante, a una struttura solida, a una regia asciutta, e, soprattutto… a un Daniel Auteuil in totale stato di grazia.