Il vizio della speranza: Il ritratto di un mondo crudo dove speranza fa rima con sopravvivenza
La vita di Maria scorre lungo il fiume attraverso il quale lei ogni notte traghetta le vite “doppie” di ragazze in stato interessante. ‘Merce’ umana da barattare in cambio di soldi e della propria sopravvivenza. Un vivere cupo e pieno di ombre, innaffiato da una pioggia battente di generalizzato menefreghismo, e che rende ogni giorno le persone un po’ meno umane. In questo carosello composto perlopiù da donne - carnefici, vittime o entrambe le cose - Maria si muove guardinga insieme al suo “Cane” – che vuole chiamare semplicemente cane anche se per lei è tutto: un amico, un riferimento, un rifugio di umanità in un mondo che sembra invece completamente de-umanizzato. Eppure, la speranza di un mondo migliore, di una vita migliore, o di ottenere quel qualcosa che le viene costantemente negato, resta comunque a languire nel profondo dell’anima, riproponendosi ogni volta come per magia e nonostante le infinite sconfitte. Si dice, in effetti, che la speranza sia l’ultima a morire, perché anche quando pare ormai che la strada sia segnata e senza sbocchi, quella piccola fiammella è in realtà ancora flebilmente accesa ad alimentare lo spirito di sopravvivenza e Il (nostro) vizio della speranza.
Dopo l’apprezzatissimo Indivisibili (2016), il regista campano Edoardo De Angelis torna a parlare di angoli di mondo dove la luce della speranza è quella estemporanea di una giostra dismessa o di un carrozzone d’intrattenimento che sfrutta il disagio umano a proprio favore. In un contesto plumbeo, asfissiante, dove la propria salvezza sancisce la morte, se non altro spirituale, dell’altro, Il vizio della speranza traccia la via crucis della protagonista Maria all’interno di un quadro annichilente di maternità negate, espropriate, mercificate. E dunque l’atto della nascita, che da sempre rappresenta simbolicamente una speranza, una nuova luce, viene qui privato della sua gioia e mortificato a puro elemento di lucro.
In un’atmosfera che pare reale ma che ha anche un forte simbolismo e qualche tratto onirico che ricorda vagamente lo stile ‘garroniano’, Edoardo De Angelis traghetta la sua Maria lungo il fiume di una speranza costantemente negata, rianimandola con quei rari ma fondamentali elementi di umanità ‘raccattati’ lungo la via. Gli animali, il cane e il cavallo, e gli unici due uomini solidali (uno le offre un po’ di brodo, l’altro offrirà supporto) che presenziano nel film sono tutto ciò che resta del senso di vicinanza e pietas.
Leggermente slegato in qualche passaggio e forse anche appesantito dall’uso a tratti un po’ troppo ingombrante delle musiche (sempre comunque bellissime e a cura di Enzo Avitabile), Il vizio della speranza riesce nell’intento di far suo lo sguardo malinconico ma conciliante della protagonista Maria (una brava Pina Turco), lo sguardo di chi sa che in fondo non ha mai avuto niente da perdere .
Fortemente legato alle connotazioni ambientali (Castel Volturno), sociali e musicali della storia di cui narra, Il film di De Angelis serba nel potenziale una grandissima carica emotiva che emerge solo in parte, ma che implode gradualmente nei tanti spazi ‘vuoti’ e silenziosi del film.