Il Traduttore
Se nel 2010, nelle vesti di Giuliana, Claudia Gerini si concedeva anima e corpo al suo amante (L’esigenza di unirmi ogni volta con te, di Tonino Zangardi), nel 2016 la ritroviamo nei panni di Anna Ritter, una donna che si lascia andare alla sola passione carnale per riuscire a chiudere un capitolo della sua vita passata. Il Traduttore, secondo lungometraggio di Massimo Natale (L’Estate di Martino, 2010), è un film in perenne bilico tra dramma, thriller, e chissà cos’altro: purtroppo un lavoro poco convincente, prevedibile, e soprattutto senza mordente.
Trento. Anna Ritter, fresca vedova e proprietaria di una Galleria d’Arte, è una donna elegante, ricca, riservata e colta. Un giorno trova in casa il diario del marito, scritto però in tedesco. A tradurre per lei quelle pagine arriverà un giovane studente universitario rumeno, Andrei (Kamil Kula), che per vivere, oltre a lavorare in una pizzeria, collabora come interprete per la Polizia. In breve tempo nascerà tra i due un’irrefrenabile attrazione fisica…
I proverbi hanno talvolta un loro fondo di verità, come ad esempio quello che recita “il buongiorno si vede dal mattino”. Ecco, fin dai primi minuti di proiezione del film si ha la forte sensazione che la visione sarà offuscata da dense nubi nere... e mai previsione fu più indovinata. Sì, perché la tempesta emozionale, che secondo le intenzioni del regista avrebbe dovuto colpire gli spettatori, va invece a infrangersi già dalla prima scena, trascinando la platea in una narrazione con troppe direzioni tanto inverosimili quanto per nulla accattivanti.
Certo è che la sceneggiatura, piena di cliché e situazioni al limite del paradossale, non aiuta il pubblico a empatizzare con nessuno dei protagonisti. Se poi si aggiunge una recitazione, e spiace dirlo, a tratti esageratamente caricata, il risultato non può che essere deludente. Claudia Gerini, che in altre occasioni ha evidenziato la sua capacità nel ricoprire ruoli drammatici, in quest’opera non riesce a dare ad Anna un reale spessore, finendo così per relegarla a una figura dal perenne malumore stampato in volto: un personaggio privo di pathos, ma colmo di esagerazioni. Kamil Kula - che non parla italiano e a detta del regista ha imparato il copione a memoria - mantenendo sempre il medesimo sguardo per l’intera durata della pellicola non risulta essere in grado di sorreggere il fardello del difficile ruolo principale. L’unica parte credibile sembra quella affidata a Eva Grimaldi: due sole battute in tutto il film, ma azzeccate!
Massimo Natale naufraga anche laddove mette in scena ripetute pillole di eros: i corpi avvinghiati di Andrei e Anna non suscitano nessuna tensione erotica, e lo spettatore, invece di venire piacevolmente coinvolto dall’impero dei sensi, si chiede ridacchiando come sia nata tra loro quella fatale attrazione. Altra nota dolente, poi, è la colonna sonora; non che sia brutta, anzi, ma eccessivamente lirica e onnipresente.
Il Traduttore finirà probabilmente nel cassetto del dimenticatoio senza lasciare traccia. Un vero peccato per un film che, in fondo, poteva essere interessante.