Il silenzio è d'oro – Recensione di The Bra – Il Reggipetto, di Renato Massaccesi
Senza andare troppo indietro, c'avevano già provato negli anni '70 Mel Brooks con Silent Movie e Nichetti con Ratataplan, progetti purtroppo rimasti isolati. Ma strano che dopo l'enorme successo di The Artist (film veramente straordinario) e del quasi contemporaneo Blancanieves non ci sia stato un filone che riprendesse le gesta del Cinema muto.
Il nuovo progetto di Veit Helmer, regista premiatissimo, ma da noi pressoché sconosciuto, lo fa e lo fa egregiamente. A dire il vero, il suo, non è un film muto ma un film senza dialoghi. Il che comporta che prendano la scena anche elementi che la bocca non ce l'hanno.
Quell'andare del treno che qui è veramente protagonista principale, come in certi capolavori di Buster Keaton, influenza la vita delle persone come da noi non sarebbe possibile. Ed in effetti, questa favola surreale e poeticissima si svolge in un luogo che non esiste neanche più, (il quartiere "Shangai" di Baku, demolito 2 anni fa), nel lontano Azerbaigian che sembra tanto la nostra Terra del lontano dopoguerra. In un susseguirsi di giorni in apparenza sempre uguali, uno stralunato personaggio che sembra aver rubato la faccia a Serge Reggiani, va alla ricerca di un qualcosa che, forse, è qualcos'altro. Ma se la storia è ridotta ai minimi termini, come in ogni favola che si rispetti, qui è la forma del racconto che affascina più di tutto.
A metà tra Tati e Kaurismaki, l'ossessione del interprete principale (un macchinista appena pensionato) non ha nulla di morboso, è soltanto un pretesto per svelare personaggi curiosi che diventano “maschere” di uno spettacolo comico leggero come una piuma. E nonstante le botte e i bambini che vivono in cucce da cani, il tutto si risolve come nelle favole, con un colpo di scena ed una morale, ma in maniera talmente lieve che neanche ce ne accorgiamo.
Se volete vedere un film anni luce lontano da tutto, con un tempo sospeso per sempre, questo è il film per voi.