Il sesso degli angeli - Il sacro e il profano secondo Leonardo Pieraccioni
Parola d'ordine del momento: distensione, distrazione, leggerezza. Il regista toscano, che torna dietro la macchina da presa - anche davanti se è per questo, visto che è il protagonista – con Il sesso degli angeli, ha tenuto bene a mente questo concetto e lo ha fatto suo con questa ultima, delicata storia in cui il sacro incontra il profano. Rifacendosi alla classica commedia degli equivoci, il nuovo film di Pieraccioni diverte e intrattiene quanto basta per far dimenticare, per circa un'ora e mezza, le angosce quotidiane.
Il brano spagnolo di apertura e certe comiche espressioni del protagonista hanno un ché di “ciclonesco” mentre l'impersonare la figura adulta e responsabile in un gruppo di giovani, sembrerebbe riecheggiare Un fantastico via vai. Ad ogni modo, con questo nuovo film, da lui stesso anche scritto, insieme a Filippo Bologna - David di Donatello per Perfetti sconosciuti - Leonardo Pieraccioni ha raccontato in maniera garbata e intrisa di buoni sentimenti, una storia che scivola dolcemente e senza inutili ghirigori verso un finale tenero e pieno di positività, facendo leva su una serie di stereotipi e concetti che vengono di volta in volta scardinati o intensificati.
Don Simone è infatti un prete la cui parrocchia è sempre in difficoltà strutturali – crolla una parte di tetto - ed economiche – mancano i soldi per riparare il suddetto tetto. Non solo: i giovani preferiscono di gran lunga i social e alle messe partecipano unicamente persone anziane.
Don Simone vorrebbe realizzare un bell'oratorio con tanto di tavolo da ping pong e canestro e un bel giorno, Dio sembra andare incontro alle sue preghiere: un vecchio zio è infatti passato a miglior vita, lasciando al nipote la sua florida attività in Svizzera che, solo nell'ultimo anno, ha fruttato oltre un milione di introiti.
Il parroco si reca quindi sul luogo con il fidato sagrestano e l'occasione è buona e giusta per regalare una serie di splendide carrellate di Firenze prima e Lugano poi.
Il sagrestano Giacinto è brillantemente interpretato da Marcello Fonte, il quale sembra abbia detto a Pieraccioni: “Ma io non so' capace di fare la commedia”: considerato che si era aggiudicato il Nastro d'argento e il Prix d'intreprétation masculine a Cannes per il drammatico Dogman, deve essersi fatto qualche remora. Ma il nostro caro toscanaccio ci ha visto lungo e la scelta risulta davvero azzeccatissima: i due insieme funzionano alla perfezione e la fusione dell' ingenuità dell'uno e della sacralità dell'altro, dà luogo ad una serie di scambi davvero spassosi.
Ma qual è la famigerata attività che salverà la parrocchia di don Simone? Niente meno che un bordello, gestito da Sabrina Ferilli. Il giovane prete ci mette un po' a capirlo e nel mezzo, le risate sono assicurate. Ora però, Simone ha una settimana per decidere se accettare di rilevarlo o se cederlo al detestabile cugino – Vincenzo Salemme – ma la scelta sembrerebbe ovvia...chi lo sente poi il Vaticano?
Nel corso dei fatidici sette giorni, don Simone ha modo di conoscere non soltanto la direttrice Lena, una donna dolce e onesta nonostante la mansione faccia pensare diversamente, ma anche il suo affiatato team: a questo proposito, il regista ha raccontato di essere andato di persona a visitare delle case per appuntamenti in Svizzera e ha dichiarato, in maniera accorata, che tutte le ragazze hanno un piano B. Nel film c'è chi desidera aprire una scuola di zumba e chi vorrebbe essere maestra d'asilo e il messaggio secondo cui non bisogna mai accantonare i propri sogni, è senza dubbio uno dei principali. E per quel che riguarda i clienti? Una folta carrellata di giovani e meno giovani, ipocriti e disinibiti, altolocati e non, frequenta il bordello, andando a dipingere una situazione che da un lato sembra toccare il delicato tema della riapertura delle case di tolleranza, che vede il regista assolutamente favorevole, dall'altro analizza ciò che concerne valori ben più ampi come fedeltà, moralità, dignità e chi più ne ha, più ne metta. Nel frattempo, al malcapitato don Simone, continua ad apparire in sogno il perfido zio Valdemaro, l'immancabile Ceccherini, da sempre fedele compagno del regista, che lo spinge, in veste di diavolo tentatore, ad accettare l'eredità e a godersi la vita, rinunciando alla noiosa tonaca e alla castità.
Nato quasi per caso mentre con Bologna stava scrivendo un'altra sceneggiatura, il film intrattiene piacevolmente pur senza toccare livelli eccelsi di comicità e/o profondità. La mimica facciale di Pieraccioni è una garanzia e Marcello Fonte in veste leggera è una vera scoperta.