Il regno di Wuba

Primo lungometraggio cinese diretto dal Raman Hui che era stato co-regista di Shrek Terzo (2007) insieme a Chris Miller dopo aver lavorato in qualità di supervisore all’animazione dei primi due film riguardanti l’orco verde targato Dreamworks, ci porta a Serenity Village per incontrare il giovane Tianyin, incarnato dal Boran Jing de I soldati dell’imperatore (2012).

Giovane che, frenato sia da una certa insicurezza che dall’anziana nonna, si ritrova coinvolto in un evento che potrebbe cambiare la storia dell’umanità dal momento in cui la regina dei mostri, incinta, gli affida il proprio piccolo Wuba, destinato a diventare il nuovo re della sua specie, pregandogli di proteggerlo dai cacciatori del regno vigente.  
Perché è in un lontano mondo di fantasia dove un tempo gli umani scatenarono una guerra per ricacciare i mostri – fino ad allora imperanti – sulle montagne vietandogli di rimettere piede nel posto che si svolge la oltre ora e cinquanta di visione, volta a complicarsi attraverso l’entrata in scena della cacciatrice Xianon alias Baihe Bai, la quale non manca di offrire a caro prezzo protezione al protagonista.

Man mano che l’impressione di trovarci dinanzi ad un elaborato dal respiro generale non distante da quello che caratterizzò i lavori sfornati dalla cinematografia orientale d’arti marziali risalente agli anni Sessanta e Settanta ne accompagna le sue frenetiche imprese, orchestrate tra scontri con armi da taglio, momenti cantati, mosse speciali e, addirittura, la visita all’interno di un ristorante specializzato in sashimi di mostro.

Del resto, ulteriormente complice la divertente conseguenza di un esilarante, sofferto parto maschile, non è certo la tipica ironia della Settima arte dagli occhi a mandorla a risultare assente nel corso di quello che, infarcito di “morbidose” creature, si rivela fotogramma dopo fotogramma un movimentato mix fanta-avventuroso di live action e animazione 3D in CGI.
Sebbene il rischio di lasciare pienamente soddisfatti soltanto i seguaci irriducibili di Manga e affini s’intuisca in più di un’occasione, soprattutto a causa di una ripetitività che non manca di essere avvertita anche a causa di una durata forse eccessiva per l’esile plot a disposizione.