Il ragazzo della Giudecca

Si apre tramite vecchi filmati in bianco e nero raffiguranti le esibizioni del cantante neomelodico napoletano – ma nato a Siracusa nel quartiere della Giudecca – Carmelo Zappulla, improvvisamente interrotti da un delitto eseguito a colpi di pistola.

Perché, partendo dalle pagine del suo libro autobiografico Quel ragazzo della Giudecca – Un artista alla sbarra, è il difficile periodo di detenzione che è stato costretto ad affrontare dall’inizio degli anni Novanta dopo che un pentito lo ha accusato di essere stato il mandante di un omicidio quello raccontato sullo schermo dal regista Alfonso Bergamo, reduce dal lungometraggio d’esordio Tender eyes (2014).
Periodo di detenzione che, con l’interprete di Pover’ammore (1982) e Laura... a 16 anni mi dicesti sì (1983) nei panni di se stesso, cominciamo a seguire dal 29 Luglio del 1993, in concomitanza con l’entrata in scena di un procuratore cui concede anima e corpo Tony Sperandeo e che, decisamente luciferino, trova spesso alle sue spalle l’immagine del Cristo in croce.

Un dettaglio provocatoriamente significativo nel sintetizzare l’ipocrisia tipica di importanti figure italiane e da non sottovalutare affatto per poter intendere quanto tutt’altro che sciatta sia la messa in scena dell’operazione, sebbene si affidi soprattutto ai dialoghi e al ricchissimo cast.
Ricchissimo cast che, oltre al citato Turris di Mery per sempre (1989) qui in una delle sue migliori performance, arriva a tirare progressivamente in ballo, tra gli altri, il Mario Donatone de Il padrino parte III (1990), Giancarlo Giannini nel ruolo del giudice Mangrella, la Chiara Iezzi del duo musicale Paola e Chiara nella parte della compagna del protagonista e un Franco Nero impegnato a ricordare che la vendetta non ridà la vita ai morti, ma aiuta i loro spiriti a riposare in pace.

Senza contare il Luigi Diberti de La classe operaia va in paradiso (1971), il quale incarna l’avvocato Gaetano cimentandosi, oltretutto, in un toccante monologo destinato a racchiudere il significato del film... che, al di là di qualche evitabile lungaggine, su cui si può tranquillamente chiudere un occhio, rievoca a dovere un calvario giudiziario – conclusosi per fortuna in maniera positiva – con lo scopo di ribadire come una società democratica non possa negare la libertà ad un cittadino innocente affidandosi a un pentito dire.