"Il primo uomo" di Damien Chazelle: opera delicata che orbita tra il dolore della perdita e la voglia tutta umana di conquista
Neil Armstrong (un ottimo Ryan Gosling) è un giovane padre ma anche un talentuoso ingegnere aerospaziale con la passione per il suo lavoro. Una grave perdita famigliare e il conseguente dolore lo renderanno molto fragile e schivo, ma anche assai determinato nei suoi obiettivi professionali. Talento e determinazione che, uniti, lo porteranno a esser protagonista della missione Apollo 11 della NASA, facendolo infine diventare il primo uomo ad aver messo piede sulla Luna.
Accolto con un generoso applauso all’anteprima stampa, Il primo uomo dell’acclamato regista statunitense Damien Chazelle (premio oscar per La La Land, film d’apertura proprio al Festival di Venezia di due anni fa) ripercorre i passi, letteralmente, di Neil Armstrong e della sua celebre ‘camminata’ sulla Luna, ricostruendo gli anni dell’astronauta tra il 1961 e il 1969 (anno dell’allunaggio). Il biopic ripercorre dunque genesi ed evoluzioni di quella eclatante vittoria degli Stati Uniti sulla Russia che Armstrong commentò con la celebre frase poi passata ai posteri: “Questo è un piccolo passo per [un] uomo, un gigantesco balzo per l'umanità”.
Basato sull'omonimo libro di James R. Hansen, "Il primo uomo" di Chazelle mette in campo numerose qualità tecniche (tra cui ottime sceneggiatura, colonna sonora e fotografia) senza incappare, invece, in molti di quelli che di solito sono i punti deboli tipici del biopic.
Damien Chazelle (classe 1985) qui alla sua opera quarta, conferma con questo film il talento riposto nella capacità di controllare un’opera, che si tratti del mondo ‘sadico’ dell’accademia musicale o delle atmosfere nostalgico-sognanti, del musical esistenziale o finanche del biopic “spaziale” come in quest’ultimo caso, con estrema aderenza e coesione delle fila narrative. Cucito sulle spalle di un bravo Ryan Gosling, supportato dall’altrettanto brava Claire Foy nei panni di sua moglie, Il primo uomo percorre un intenso tragitto di crescita umana e professionale che vede l’uomo intrappolato tra il dolore della perdita (quella precoce e straziante della figlia, ma anche quelle dei tanti compagni morti sul lavoro), e la voglia di conquista tipica del ‘mondo umano’.
Chazelle trova nell’espressività controllata e un po’ ‘remissiva’ del sempre più quotato Gosling il mezzo migliore per scavare all’interno di questo paradosso esistenziale, generando una sorta di grande bolla emotiva di dolore e desiderio all’interno del quale l’Armstrong di Gosling si muove perfettamente, e dal quale emerge anche tutta la dimensione emotiva dell’opera. La corsa “alla Luna”, contestualizzata all’interno di una precisa dinamica storica politica e sociale, contribuisce infatti solo a fare da sfondo a una riflessione molto più centrata e profonda sulla condizione umana, sulla corsa al progresso e al successo, e a quella voglia innata di essere primi che si contrappone, a urto, con l’estrema caducità e fragilità della vita stessa. E se l’allunaggio di Armstrong rappresenta dunque il successo avanguardista dell’America più audace, sono i tasselli di memoria famigliare a rievocare il dolore enorme di una perdita atroce come quella di una figlia a fare da contraltare intimista al film.
Sconfitta e successo, lutto e progresso si avvicendano all’interno di un’opera vibrante ed eclettica, dotata di ritmo e per certi versi anche toccante, che non delude le alte aspettative, e rappresenta inoltre una più che degna apertura del festival di Venezia edizione 75.