Il mio capolavoro - L’insostenibile pesantezza dell’essere... artista.
Renzo Nervi (Luis Brandoni) è un pittore dal glorioso passato ma oramai sul viale del tramonto. I suoi quadri - dal gusto poco moderno - non vendono più, e il suo carattere burbero e inconciliante non giova in alcun modo alla sua situazione. Così, il noto gallerista nonchè suo storico amico Arturo Silva (Guillermo Francella) sarà costretto a porlo di fronte a un bivio, offrendogli una buona ma ultima chance di riscatto. Prevedibilmente, Nervi manderà in fumo anche quella, compromettendo definitivamente la sua spendibilità. Poi, però, un tragico e inaspettato evento rimetterà in gioco le carte del destino, offrendo l’occasione per una “nuova” e “alternativa” vita artistica.
Dopo l’apprezzato Il cittadino Illustre (2016), Il regista argentino Gastòn Duprat torna al cinema con Il mio capolavoro (Mi Obra Maestra), una simpatica e agrodolce commedia - imperfetta ma passionale - che riflette sul ruolo dell’arte, sulla figura dell’artista e sul concetto dinamico di un’amicizia che all’occorrenza può diventare rifugio nel quale nascondersi o ripararsi.
Parafrasando Milan Kundera, “l’insostenibile pesantezza dell’essere... artista” viene qui rivisitata attraverso la figura spigolosa ma sincera del pittore Renzo Nervi, scontroso e inconciliabile come quasi ogni artista che si rispetti, incapace di rinunciare alla sua vocazione, tanto quanto di scendere a compromessi al solo fine di ‘vendere’ la propria visione del mondo. L’artista, dunque, tra genio e sregolatezza, e che fa letteralmente fatica ad essere in armonia con il mondo circostante; un mondo che non può accettare perché in quella sua stessa ribellione si nasconde il potere vocazionale della sua arte.
Con il giusto mix di graffiante sarcasmo e toccante tenerezza, Duprat muove la sua commedia dal concetto di truffa a quello di salvezza, dall’idea di solidarietà all’ideale ultimo di amicizia. È un viaggio toccante e irriverente tra gli scossoni e gli imprevisti della vita, nei meandri di un’accettazione di sé stessi sempre difficoltosa, e alla ricerca di una spalla su cui contare, nel bene e nel male, affogati nella bambagia così come (s)finiti e alla canna del gas.
L’ottimo Luis Brandoni veste i panni di Renzo Nervi e della sua ‘disabilità’ in arte con esuberante ed istrionica ironia, ma è l’occhio sempre più assennato e razionale, cinico e commerciale dell’Arturo di Guillero Francella a creare quel contrasto tra bianco e nero utile a definire il senso dell’opera. La schiettezza estrema in quanto visione rudimentale ma reale della vita esposta da Renzo Nervi rappresenta infatti qualcosa di vero e per certi versi anche giusto, ma impossibile da veicolare in quanto tale. La mente abile e scaltra di Arturo Silva serviranno quindi da cavallo di Troia per liberare l’artista dai propri demoni e dalla propria ‘pesantezza’, e farlo infine tornare a ‘volare’.
Un’opera originale con cui ancora una volta Duprat riflette sulle controversie dell’essere artista e sulle convenzioni che rendono l’artista tale, indicando come la superficialità del giudizio e della critica siano, di contro, spesso terreno fertile per un graduale percorso di consapevolezza dell’identità artistica.