Il ministro

Niccolò Machiavelli diceva che la politica dovrebbe essere amorale, non nel senso di priva di morale, ma d’esempio.
Con la volontà di raccontare una storia di ordinaria corruzione ispirata a fatti “probabilmente accaduti”, si parte in maniera piuttosto bollente per poi approdare alla tragedia, ma lasciando immediatamente capire che sia tutt’altro che quella di prendersi troppo sul serio l’intenzione del terzo lungometraggio diretto da Giorgio Amato, autore dei thriller Circuito chiuso (2012) e The stalker (2013).

Lungometraggio che non lascia trascorrere molti minuti prima che la macchina da presa rimanga all’interno dell’abitazione di Rita alias Alessia Barela e del marito Franco Lucci, imprenditore sull’orlo della bancarotta che, con le fattezze di Gianmarco Tognazzi e la salvezza della sua società appesa ad un grosso appalto pubblico che potrebbe ottenere grazie all’aiuto del ministro Rolando Giardi, decide di invitare quest’ultimo a cena per fargli trovare sia una cospicua tangente che una ragazza disposta a farci sesso.
Ragazza cui concede anima e corpo la Jun Ichikawa de La terza madre (2007) e che, destinata a far prendere una piega inaspettata alla serata, costituisce accanto alla già citata Barela e alla Ira Fronten coinvolta nei panni della domestica Esmeralda il campionario di ottimamente delineate figure femminili, una volta tanto non banali e scontate.
Come pure quelle maschili, che, insieme all’onorevole incarnato dal gomorriano Fortunato Cerlino, comprendono il Michele di Edoardo Pesce, socio e cognato di un protagonista che tanto ricorda i più viscidi personaggi portati sullo schermo dall’indimenticabile padre Ugo.

Personaggi da sempre funzionali nell’ambito della commedia italiana in aria di denuncia su celluloide delle brutture dello stivale del globo, in questo caso rappresentate dalla piuttosto sporca gestione del potere e da ciò che porta spesso una buona fetta di comuni mortali ad assecondarlo per ottenere vantaggi.
Perché, tra discussioni sulle abitudini alimentari vegane ed una conversazione dall’esito esilarante riguardante un amore di gioventù del politico, è proprio la tensione generata dai loro imprevedibili comportamenti a rientrare tra i maggiori punti di forza dell’operazione, quasi interamente costruita in un ambiente chiuso e basata soprattutto sulle performance degli attori (lodevoli) come si fa a teatro, ma fortemente fornita di respiro cinematografico.

Ed è sicuramente merito anche del buon utilizzo della colonna sonora a firma di Eugenio Vicedomini se il risultato finale appare agli occhi dello spettatore in qualità di divertente e ritmata black comedy che, scritta con notevole ispirazione dallo stesso regista e infarcita di (retro)gusto fortemente amaro, rientra, senza alcun dubbio, tra i migliori lavori sfornati dalla Settima arte tricolore del 2016.