Il libro di Henry, ovvero come il regista Trevorrow perse la direzione del nono episodio di Star Wars
Girato in soli 36 giorni, costato circa 10 milioni di dollari: dopo le pessime critiche ricevute in patria, arriva nelle sale italiane Il libro di Henry, di Colin Trevorrow con Naomi Watts, Jaeden Lieberher, Jacob Tremblay, Lee Pace e Sarah Silverman.
Un film che tanto male, a dirla tutta, non è – anche il pubblico americano ha avuto reazioni meno avverse rispetto ai critici di settore - ma che è costato al regista la poltrona di Star Wars episodio IX. A Hollywood, si sa, gli scivoloni non sono ammessi.
Il libro di Henry è un abile mix di generi in cui più sottotrame si intersecano dando vita ad una narrazione che alterna dramma, thiller e un pizzico di commedia.
Il cast eccelso affronta magistralmente il compito di interpretare una storia di provincia in cui la vita di una mamma single e dei suoi due figli, Henry e Peter, si lega indissolubilmente a quella della giovane vicina, nonché compagna di classe di Henry, che vive con il patrigno dal fare sospetto sebbene sia un poliziotto molto stimato dalla comunità.
Dopo gli accattivanti titoli di testa, con disegni a carboncino che si animano allegramente, il film si apre su un paesaggio quasi fiabesco, con un lago circondato da un bosco e la tipica piccola comunità di provincia all'apparenza gioviale, ma con tanti scheletri nell'armadio.
La sceneggiatura, rimasta in ballo per quasi vent'anni, vede la luce dopo un lungo lavoro ed offre numerosi spunti di riflessione sul concetto di famiglia, di madre single, di preadolescenza e tanto altro. Troppa carne al fuoco, forse, ma il risultato è un film architettato in modo da alternare in maniera valida e allettante scene in cui un pacchetto di fazzoletti non basterà a placare le vostre lacrime, altre in cui riderete di gusto ed altre in cui sarete incollati alla poltrona, aspettando il momento clou dell'azione.
In modo assai canonico, Il libro di Henry dà il via alla narrazione presentando i vari personaggi: Henry, appunto, un undicenne prodigio che si occupa della contabilità della famiglia, ha una preparazione da fare invidia ai professori ed è un inventore provetto, è interpretato niente po' po' di meno che da Jaeden Lieberher, protagonista del recente IT. Suo fratello Peter, che stravede per lui ma al contempo si sente sempre il secondo, anche nell'affetto della mamma, ha il volto invece di Jacob Tremblay, piccolo protagonista del drammatico Room cui Brie Larson deve l'Oscar di due anni fa. Mamma Susan infine, è interpretata da Naomi Watts, qui nelle vesti di una single che lavora in una gelateria, si scatena con i videogames più sanguinosi ed è del tutto estranea agli affari di famiglia, curati dal figlio grande. Solo un improvviso e drammatico evento la riporterà con i piedi per terra, facendole riscoprire le sue priorità ed il concetto di giustizia tanto caro ad Henry.
Tutto sembra scorrere nel solito modo quando, in un chiaro omaggio al celeberrimo La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, il ragazzino scopre il terribile segreto di cui è vittima la sua vicina Christina ed organizza un piano dettagliato e infallibile di cui sua madre si troverà portatrice ed esecutrice, in un crescendo d'intensità e di angoscia.
Tecnicamente ineccepibile, il film vanta una fotografia forse scolastica ma che accentua, sequenza dopo sequenza, la drammaticità o l'angoscia degli eventi e si avvale di un efficace ricorso al montaggio alternato nella scena finale, quando Naomi Watts sta per portare a termine il piano ordito da Henry ed in contemporanea gli allievi della scuola si susseguono sul palco con i loro numeri preparati per il talent show.
Certi passaggi della narrazione sono inverosimili, ammettiamolo, ma da qui a decretarne il totale insuccesso, ce ne vuole.
I valori di speranza, coraggio, lealtà e giustizia permeano l'intera vicenda seppur sacrificando qualche aspetto della sceneggiatura, la coesione in primis. Il risultato è comunque un film che si guarda con un crescendo di emozione, che fa dell'empatia il suo asso nella manica, scorretto e palesemente diretto agli animi sensibili ma non per questo meno valido di altri.
Un consiglio: portate i fazzoletti.