Il Labirinto del Silenzio
Non esistono parole appropriate per descrivere l’orrore che fu l’Olocausto. Nessun libro, documentario o film che sia, riusciranno mai a rendere l’idea di ciò che migliaia di esseri umani hanno dovuto sopportare. Ma il nostro dovere, il dovere di tutti, è quello di non dimenticare: mai.
Il Labirinto del Silenzio di Giulio Ricciarelli (selezionato per rappresentare la Germania agli Oscar 2016), racconta la storia del giovane procuratore Jhoann Radmann (personaggio di fantasia), che nella Germania di fine anni cinquanta decide di far luce sui collaboratori del regime nazista rimasti ancora impuniti. Per gli adolescenti di quegli anni, i campi di concentramento erano una leggenda metropolitana inventata dai vincitori per umiliare i perdenti. Per gli adulti si trattava invece di qualcosa da scordare, una colpa da cancellare a forza di bugie, una verità da tenere nascosta per non fare i conti fino in fondo con le proprie responsabilità, connivenze e viltà. Con questo presupposto il regista, italiano di nascita ma tedesco d’adozione, parte da una semplice domanda: quanti giovani tedeschi erano figli di assassini senza saperlo? Prendendo spunto da fatti realmente accaduti, Giulio Ricciarelli mette in scena un film toccante e necessario, un’opera prima da non perdere.
Il processo per i crimini compiuti ad Auschwitz, svoltosi a Francoforte nel 1963, nella realtà fu istruito dal Pubblico Ministero Generale dell’Assia , Fritz Bauer. La corte era composta da giudici tedeschi che sul territorio della Germania processavano i loro connazionali: quel dibattito in tribunale fu la prima occasione che permise un serio confronto con il passato nazista all’interno della Repubblica Federale. Già, perché nonostante Norimberga, la gran parte del popolo germanico non aveva mai sentito parlare di Auschwitz. E’ questo il tema centrale de Il Labirinto del Silenzio: squarciare la nebulosa dell’oblio per andare oltre la “Ragion di Stato” dell’allora Cancelliere Adenauer. La forza di Ricciarelli sta nell’essere riuscito a rappresentare alla perfezione il doloroso percorso di presa di coscienza del protagonista, Jhoann Radmann (il bravo Alexander Fehling), che perde la sua ingenuità e il suo idealismo man mano che si addentra in un labirinto di menzogne e silenzi. Un labirinto che lo porterà a scontrarsi con l’ostilità dei suoi stessi colleghi, e non solo. Ne Il Labirinto del Silenzio ciò che può risultare stonato è che il film sia tenuto insieme da una costruzione classica e da una fotografia patinata, struttura - questa - certamente più adatta a un’operazione commerciale che non a un’opera sull’Olocausto. Ma l’evidente spiegazione è quella di attirare un pubblico maggiore... è questo il caso in cui il fine giustifica i mezzi!
Il Labirinto del Silenzio non è un film sulla Shoah, ma sull’amnesia collettiva che colpì un intero Paese. Un solido lavoro contro la rimozione della memoria dove le emozioni sono sempre presenti per far riaffiorare la consapevolezza del ricordo. Un film da vedere e consigliare, un obbligo individuale da trasformare in un impegno collettivo: Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre. Primo Levi, Se Questo è un Uomo.