Il grande salto – Una commedia dolceamara che ragiona sulle maldestre “logiche” del Destino

Ai margini di una periferia romana che di rado ammette il “successo”, Rufetto (Giorgio Tirabassi) e Nello (Ricky Memphis) sono due cinquantenni “disgraziati”, che conducono una vita modesta tra tentativi maldestri di portare a termine il grande colpo, e la necessità/volontà di dare una svolta alla propria vita. E se il primo, senza alcun reddito o possibilità di averne uno, poggia sé e la sua famiglia (la moglie Anna e il figlio Luca) sulla stiracchiata solidarietà e accondiscendenza del suocero, il secondo vive ancora più alla giornata in uno scantinato che pare una cella e senza nemmeno l’ombra di una donna che possa prenderlo sul serio. Due vite ai margini accomunate da un’amicizia altalenante ma sincera e da quel senso di riscatto che a volte salva ma spesso (anche) uccide. Due vite lanciate lungo una traiettoria del tutto imprevedibile, che spesso è scritta dal destino ma talvolta anche dalla nostra facoltà di comandarlo o dirottarlo.

Alla sua prima prova da regista, l’attore Giorgio Tirabassi racconta la storia di due scavezzacollo come tanti, senza arte né parte, destinati a una vita ai margini ma fino in fondo convinti del contrario. All’interno di un registro che fonde a seconda dei momenti più o meno bene la commedia e il dramma esistenziale, Il grande salto ragiona sul Destino e sulle possibilità che, realmente, abbiamo di modificarlo o comandarlo a nostro piacimento. E nel risvolto drammatico di un essere fiduciosi e fatalisti che poi alla fine deve fare i conti anche con le beffe del fato, Il grande salto rivela tutto il graffiante sadismo di una marginalità che non può diventare centralità, di un agognato “salto” che diventa invece prevedibile tonfo, e di una speranza che (come da copione) muta veloce in fallimento.

Costruito sulla buona alchimia attoriale tra Tirabassi e Memphis, valorizzato soprattutto dall’ironia naturale e maldestra del secondo, arricchito dai camei di Valerio Mastandrea e Marco Giallini nelle rispettive parti di un (improbabile) dipendente delle poste, e di un (molto probabile) teppista locale, il film di Tirabassi viaggia senza eccessi o eccessive cadute di stile lungo il binario della commedia amara e della riflessione esistenziale, e in quell’ordinaria follia che abbraccia un po’ tutte le nostre umanità sole o solitarie, più o meno periferiche, e in perenne cerca di un loro riscatto e di un testa a testa con un Destino che invece e infine pare sempre già scritto. Nella serie un po’ grottesca di sconfitte messe a segno dai due potenziali rapinatori in cerca del classico “colpo magistrale”, viene tracciato infatti il perimetro entro il quale possono muoversi due esistenze cui la vita ha dato – praticamente - nulla per essere felici, e che di fatto hanno il solo compito e la sola possibilità di ottimizzare al massimo la loro “Arte della felicità”.