Il diritto di uccidere

Il diritto di uccidere di Gavin Hood mostra gente che si batte per la vita o per la morte. In entrambi i casi, impiega tutti i mezzi a propria disposizione per raggiungere lo scopo prefissato. Sembrerebbe tutto così facile, estremamente facile con i buoni schierati da una parte e i cattivi dall’altra. E, invece, le zone d’ombra esistono e si manifestano quando in guerra l’unica possibilità per garantire la pace sembra essere quella di scegliere il male minore. Una tematica questa che non potrebbe essere più attuale di così.

Quando sono in ballo le vite di tante persone (ottanta) che potrebbero venire falciate da un attacco kamikaze bisogna prendere delle decisioni e bisogna farlo alla svelta. Lo sa bene il colonnello britannico Katherine Powell, interpretato da una Helen Mirren in forma smagliante. Ma, la guerra combattuta dalla Powell è figlia di un’alleanza intercontinentale con l’esercito degli Stati Uniti: ciò significa che ogni provvedimento deve essere preso in maniera congiunta e vincolante per entrambi i Paesi. Molta burocrazia equivale a poca fermezza con ministri che utilizzano la propria autorità per rimpallarsi l’un l’altro le decisioni e frammentare al massimo le proprie responsabilità, conservando allo stesso tempo il diritto alla poltrona.

Fedele ai canoni del cinema classico, Hood confeziona un buon film, dove guerra fa rima con un thriller da camera a sfondo politico. E non dimentica di aggiungervi un tocco di british humour. Ne Il diritto di uccidere la tensione sale verticalmente senza che nessuno butti mai acqua sul fuoco e l’implicazione etico-morali dei personaggi appaiono ben tratteggiate. L’epifania di una bambina keniota all’interno di una zona che da lì a poco dovrà essere bombardata a tappeto solleva dubbi e perplessità, lasciando il dito del giovane ufficiale Steve Watts (Aaron Paul) sollevato a mezz’aria, incapace di premere il tasto che aziona una gittata di missili a lungo raggio. Se non schiaccerà il pulsante d’invio, in un futuro molto prossimo tante persone potrebbero potenzialmente perdere la vita.

Il pensiero del regista, autore del film premiato con l’Oscar Il suo nome è Tsotsi, è chiaro e lampante, sebbene non venga mai spiattellato direttamente in faccia al pubblico. Uscendo dalla sala rimane un grosso tarlo alla bocca dello stomaco: nell’economia generale dell’umanità, ogni vita umana dovrebbe avere lo stesso identico peso, senza essere immolata sull’altare per evitare prospettive ben più pericolose… oppure no? Si potrebbe rispondere a questo interrogativo con le parole del poeta T.S. Eliot: “Quello che sarebbe potuto essere è un’astrazione e resta una perpetua possibilità solo nel mondo delle congetture. Quello che sarebbe potuto essere e quello che è stato tendono verso una fine, che è sempre presente”.

Il diritto di uccidere è dedicato alla memoria del compianto attore e regista Alan Rickman (generale Frank Benson), scomparso lo scorso gennaio.