Il corpo è lo specchio dell’anima
Se la realtà quotidiana appare come un vicolo cieco, per la regista Ildikò Enyedi il doppio sogno dei suoi protagonisti rappresenta la via di fuga. Il rapporto che s’instaura tra mondo onirico e mondo reale gioca un ruolo molto importante in Corpo e Anima, sebbene i reciproci confini tra sonno e veglia continuino sempre a esistere. La pignola ispettrice alla qualità Maria (Alexandra Borbély) ed Endre, il responsabile del macello presso cui la giovane presta servizio, (Morcsányi Géza) quasi si evitano sul luogo di lavoro. Ma, per una circostanza puramente fortuita, scoprono di condividere lo stesso sogno: sono una coppia di cervi all’interno di un bosco immerso di neve.
Il loro immaginarsi in una seconda “pelle” animale, in qualche modo li salva dalla comune accettazione della morte. Infatti, nella realtà entrambi hanno detto addio a una parte di loro stessi. Nel caso di Endre si tratta del braccio sinistro completamente paralizzato, mentre Maria è un elemento strutturato in una certa maniera che non può permettersi il lusso di evolversi in uno stato più avanzato. Insomma, la donna è bloccata in uno stadio infantile e lo sarà fino a quando capirà che non può opporre ancora a lungo una strenua difesa al riemergere in superficie di sensazioni finora relegate.
Corpo e anima è un’opera ispirata, un sogno a occhi aperti che la regista ungherese autrice de Il mio XX secolo mostra sullo schermo con la pura innocenza di chi osa superare il confine della solitudine. Non che manchi la psicologia o non utilizzi un linguaggio simbolico, tutt’altro. La pellicola emana un forte carattere identitario e lo spettatore prova il piacere di lasciarsi andare a riempire i vuoti del non detto, terminando a proprio piacimento un epilogo lasciato aperto.
"Un film deve avere un tocco" diceva l’innovatore del cinema americano Samuel Fuller e la pellicola di Enyedi rivela un profilo stilistico marcato, il cui effetto è centuplicato soprattutto grazie al lavoro di cesello realizzato dal direttore della fotografia Máté Herbai. La sua fotografia non è per niente decorativa e, tantomeno, può essere impiegata come un sovrappiù rispetto alla sceneggiatura: l’esasperato contrasto delle immagini (rosso sangue/bianco immacolato) si riconnette al dualismo stesso della storia che narra.
Corpo e anima ha stravinto l’Orso d’Oro all’ultima edizione del festival di Berlino. Aspettiamo di vedere come se la caverà agli Oscar 2018, dove partecipa nella categoria miglior film straniero.