Il condominio dei cuori infranti
Il regista francese Samuel Benchetrit non è solo un filmaker, bensì un attore, sceneggiatore e scrittore, autore di un’autobiografia in cinque volumi pubblicata con il titolo di Cronache dell’asfalto.
E proprio da due racconti che compongono il libro è nata l’idea di realizzare Il condominio dei cuori infranti, presentato fuori concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes con star della statura di Valeria Bruni Tedeschi, Michael Pitt e Isabelle Huppert.
Il film non ha una narrazione che sfreccia via come una linea dritta.
È l’esatto contrario: un’erranza vagabonda che si confessa per tre pianerottoli del casermone grigio dove vivono l’asociale Sterkkowitz, la vedova maghrebina Madame Hamida, e Charly, l’adolescente abbandonato a se stesso.
In tutti e tre i casi, la loro esistenza cambia a seguito di un accadimento esterno: Stemkowitz si imbatte in un’infermiera di notte cui racconta la fandonia di essere un grande fotoreporter, Madame Hamida trova in un astronauta della N.A.S.A. un sostituto del figlio detenuto e, infine, al giovane Charly capita di stringere amicizia con l’attrice fallita Jeanne Meyer, salvandola dall’orlo del baratro etilico.
Nel complesso, la summa dei tre episodi produce un risultato migliore rispetto al doverli prendere singolarmente.
Il più riuscito è senza dubbio quello giocato sul duetto tra Michael Pitt e Tassadit Mandi, rispettivamente il cosmonauta John McKenzie e Madame Hamida.
La differenza d’idioma tra i due personaggi (l’uno parla l’inglese americano, l’altra il francese) produce un riflesso-riflessione fra mondi agli antipodi per cultura e tradizioni.
Eppure è proprio da questo scarto ondulatorio che esplode in maniera incontenibile il desiderio di confrontarsi e di trovare un punto in comune, anche il più banale, come ad esempio il cibo, una puntata della soap opera Beautiful, discorsi sul cosmo, etc.
E, nel frattempo, ciò che i due non riescono a comunicare a parole si trasforma in un sentimento filiale, che sparpaglia la propria luce in sguardi, sorrisi, gesti minuti.
Il condominio dei cuori infranti di Benchetrit cerca una sua destinazione in un supplemento di speranza, in un destino che può tornare a sorridere anche tra l’asfalto della peggiore banlieue parigina.
L’opera è un tentativo di intercettare la lunare corrente di energia vitale che attraversa gli inquilini e riprodurre l’impronta visibile di sei solitudini vissute finora in chiave intima.
Il regista dimostra di conoscere il suo mestiere nella delicatezza che impiega a esautorare le sequenze da atteggiamenti spropositamene drammatici.
Tuttavia, Il condominio dei cuori infranti non è una pellicola che convince del tutto, perché se ci si ferma immobili e ci s’interroga sulla sincerità delle immagini mostrate, a ben rifletterci si nota un’affettata insincerità di fondo venduta per realismo poetico.
La mancanza di ritmo è un’ulteriore penalizzazione per un prodotto nato con le migliori intenzioni.