Il Club
Esistono religiosi che con la loro dedizione dimostrano di essere eccellenti uomini di Dio. Altri, pochi in realtà, che sono invece nelle mani della giustizia in attesa di processo, oppure in carcere. Poi, però, vi è un terzo tipo di sacerdoti: i peccatori che vengono nascosti agli occhi della gente. Dove sono? Come vivono? Pablo Larraín nel suo scioccante e imperdibile Il Club racconta con estrema crudezza la storia di alcuni di loro: il club dei prelati “dispersi”. Il regista cileno, con grande coraggio, punta il dito contro un’istituzione tradizionalmente complice dell’autoritarismo politico: la Chiesa Cattolica.
In una villetta isolata di uno sperduto paesino del Cile vivono in tranquillità quattro preti dall’oscuro passato: pedofilia, truffa e collaborazionismo sono alcune delle loro colpe. Ad aiutare e sorvegliare i membri di questo marcescente “circolo” è addetta una suora, anch’essa con un trascorso poco limpido. L’arrivo di un nuovo inquilino altererà le loro abitudini e provocherà la possibile chiusura di questo particolare rifugio.
L’intero cast, capitanato dallo straordinario Alfredo Castro, pur affrontando un compito così difficile riesce a ottenere un risultato eccellente. Larraín, sfruttando questa bravura attoriale, gira uno dei film più sconvolgenti mai visti negli ultimi tempi. Assistere alla sua proiezione non è cosa facile: l’intera opera fa ribollire il sangue e mozzare il fiato. La violenza dei dialoghi, l’atmosfera cupa, la fotografia sporca al limite della sfocatura, rappresentano l’animo putrido di ogni personaggio. Nelle immagini di Larraín non v’è traccia di colori e nitidezza. Per descrivere l’orrore degli abusi perpetrati da quegli “uomini di chiesa”, il regista utilizza l’unica via possibile da percorrere: quella della brutalità dialettica e della ferocia visiva. La ripercussione di quest’opera sul pubblico avrà un effetto dirompente. La rabbia e l’indignazione per una parte di quel mondo ecclesiastico - che preferisce conservare intatta la propria reputazione piuttosto che guarire un sistema corrotto - si introdurranno nell’animo dello spettatore senza lasciare scampo. Già, perché in sala si aspetterà invano l’arrivo anche di un solo minimo segnale di speranza: no, il cileno non fa sconti a nessuno, sono tutti colpevoli.
È vero, chi è senza peccato scagli la prima pietra… Allora, questa disturbante percezione d’inquietudine che si insinua in noi, non sarà forse un latente senso di colpa per non avere combattuto qualsiasi forma di sistema malato? E non importa che si tratti di pedofilia, corruzione, razzismo, dittatura o falsa democrazia. A questo ci porta Larraín: a riconsiderare le nostre responsabilità anche quando pensiamo di non averne.
Il Club ha una potenza lacerante, è una scossa elettrica inflitta al massimo voltaggio, un film duro che in pochi riusciranno a sopportare. Perturbante. Splendido. Irrinunciabile.
“Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre”, Genesi 1:4. In questo verso è racchiusa l’origine del dualismo: il buono e il cattivo, il bene e il male. L’uomo, passando per questa dualità prende coscienza di sé e, attraverso il raziocinio, impara a controllare i suoi istinti più negativi: ecco, è proprio questo ciò che i personaggi de Il Club si sono “scordati” di fare.