I magnifici sette
I Magnifici Sette è stata una pietra miliare per qualsiasi ragazzo che sia nato tra il 60 e il 90 (poi il western è morto, il mondo è cambiato e così via…). Oggi molti lo ricordano per la battuta “fuori dal tempo” sul tizio che cadeva da un grattacielo (struttura inesistente al tempo, ovviamente) e fa un po’ tristezza.
Certo I Magnifici Sette è difficile da riproporre a dei ragazzi del nuovo millennio abituati a fotografie contrastate al massimo, montaggi sincopati, tarantiniani bagni di sangue e ritmo incalzante. Un peccato perché il carisma di quei protagonisti, o almeno parte di loro, resterà inarrivabile.
La dimostrazione della teoria precedente è nel remake, assolutamente non necessario operato da quel furbone di Antoine Fuqua.
Denzel Washington è il nuovo Yul Brinner e veste rigorosamente di nero come lui (solo che nero su nero fa un effetto diverso). Tutt’altro tipo, ma ci può quasi stare e poi il personaggio si chiama Chisolm che suona un po’ come Chisum (intramontabile eroe interpretato dal Duca).
Chris Pratt sarebbe Steve McQueen, e qui marchiamo male signori. Sorrisetto, occhio ceruleo, ma poi stazza da linebacker e poco altro.
Byung-hun Lee, artista del coltello e quindi James Coburn, per l’amore che proviamo per la settima arte evitiamo tristi confronti tra questo carneade coreano e John Mallory/Pat Garrett.
Manuel Garcia Rulfo, lui sarebbe Charles Bronson, gli auguriamo una carriera che sia almeno la metà di quella di Paul Kersey.
Ethan Hawke, è il Robert Vaughn del gruppo. Elegante, alcolico, mellifluamente subdolo. Forse l’unico che regge il confronto.
Poi abbiamo l’indiano, giovane e imberbe come il Chico di Horst Buccholz.
L’unico vero personaggio che staglia la sua ombra su tutti e che ha un vero senso di esistere è il Jack Horne di Vincent d’Onofrio (niente a che vedere con l’Harry Luck di Brad Dexter). Ottima idea, bella interpretazione e con un senso a tutto tondo.
Sul villain, non me ne voglia il sempre bravo Peter Sarsgaard, ma dai tempi di Lanterna Verde non lo vedevamo così stereotipato e poi Eli Walach è una leggenda.
Se Sergio Leone prese 3 di questi attori per i suoi film (e non sono stati 5 solo perché due erano troppo fuori budget), ci sarà pure stato un motivo.
Detta così suona come un epitaffio per questo I Magnifici Sette, ma se lo prendiamo per un film a se stante, qualcosa come Lampi nella Prateria o Il Canto delle Pistole, non è poi così male.
Ha il suo ritmo, la sua dose di spettacolarità, l’occhietto strizzato con scelte furbette e un impegno mentale ridotto tipico del pop corn movie.
Girato molto bene e montato abilmente, ha anche il pregio di un finale non banalissimo.
Era solo che non doveva chiamarsi I Magnifici Sette… e nemmeno citare troppo Sergio Leone, perché di Armonica ce n’è uno solo!