I dolori del giovane Marinelli

Secondo lungometraggio di Fabio Mollo, Il padre d'Italia è un film che con grazia e delicatezza affronta il tema della paternità e delle scelte, dolorose e coraggiose, con cui si trovano ad avere a che fare i giovani trentenni di oggi. La storia, incentrata sui due personaggi interpretati in maniera intensa e autentica da Luca Marinelli e Isabella Ragonese, è stata la realizzazione di un desiderio del regista, ovvero quello di “accaparrarsi” due signori attori come loro. Come ha raccontato lo stesso regista durante la conferenza stampa di presentazione del film, insieme hanno lavorato per un intero anno sulla sceneggiatura prima di iniziare le riprese ed ogni passaggio emotivo è stato elaborato e, se necessario, cambiato.

In Il padre d'Italia i tempi comici e quelli drammatici sono ben dosati e gioia e dolore, quali parti integranti della vita, si stringono tra loro in un abbraccio che, con il passare del tempo, fa maturare i personaggi: il film è infatti un viaggio alla riscoperta di sé, un'avventura on the road che fa luce su paure e sofferenze interiori dei due protagonisti e, complice il profondo rapporto che si instaura tra loro, dipana dubbi e incertezze e spiana la strada per il futuro. Un futuro non certo né particolarmente brillante ma che ora i protagonisti affrontano con maggiore consapevolezza.

Toccante e divertente al tempo stesso, il film di Mollo si dimostra accattivante anche dal punto di vista stilistico grazie all'uso del ralenty, ben cucito su determinate sequenze, e al ricorso al montaggio alternato che di volta in volta dà maggiore risalto all'avvicendarsi della narrazione. La storia è raccontata attraverso sequenze buie e tormentate ed altre in cui la luce inonda i protagonisti e ciò che li circonda: in quelle maggiormente introspettive, si gioca con luci e ombre e in quelle nelle discoteche, le luci strobostropiche donano al tutto un'atmosfera straniante.

A tutto fa da sfondo una colonna sonora davvero emozionante fatta di brani elettro-pop, di successi intramontabili come Non sono una signora di Loredana Bertè – che Marinelli aveva già intonato in Lo chiamavano Jeeg Robot al quale Mollo sembra voler rendere omaggio – e There is a light that never goes out degli Smiths, che Isabella Ragonese, come ha raccontato il regista, ha cantato live in una scena davvero suggestiva che sembra rimandare ad un altro bellissimo film con Marinelli, Tutti i santi giorni.

In alcuni momenti struggente, in altri esilarante, Il padre d'Italia racconta con estrema grazia la storia di due giovani che si incontrano sull'orlo del baratro e che, come ha detto la stessa Isabella Ragonese, “diventano uno l'angelo custode dell'altra”. Se nel primo film di Fabio Mollo, Il sud è niente, la questione della paternità era affrontata dal punto di vista della figlia, in questo secondo lungometraggio la tematica si fa più scottante. Tutte le donne nascono per essere madri? Ed è davvero contro natura che un ragazzo omosessuale diventi padre? Misurato e delicato, il film di Mollo cerca di rispondere a queste due domande senza mai condannare i protagonisti e le loro scelte, anzi, evidenziandone il tribolato processo.

Da Torino a Reggio Calabria, dal nord al sud della nostra penisola, il regista fa una sorta di sintesi tutta italiana accomunando il viaggio dei due protagonisti con quello interiore che vede Paolo passare dalla più tipica compostezza nordica, alla finale “apertura” e scioltezza del sud. Dopo i primi dieci minuti in cui prevale l'assenza di dialoghi, il film va via via incrementando pensieri e conversazioni, riflessioni e discussioni mentre il regista dà continuamente prova di saper usare il suo mezzo e conduce lo spettatore verso un finale carico di emozioni.

I due attori, che conosciamo bene poiché si sono fatti portavoce di una ben precisa generazione italiana, si sono detti entrambi entusiasti di aver partecipato al film: Isabella Ragonese ha riferito di aver trovato “bellissimo il fatto che siano estranei perché a volte c'è un'intimità ancora più profonda” mentre Luca Marinelli, vincitore del David di Donatello come Migliore Attore Non Protagonista in Lo chiamavano Jeeg Robot, ha raccontato di essersi emozionato nel leggere la sceneggiatura: “se mi piace una cosa e mi sento coinvolto, la voglio fare e qui ho visto delle esplosioni di emozione. E poi è stato fondamentale incontrare Fabio perché comunque il regista ti deve piacere”.

Il risultato di questo lavoro così attento e curato, è un piccolo grande film che trasmette, come ha detto il protagonista, tante emozioni e che lo fa senza eccessi e senza puntare il dito.