House of Gucci, cronaca rivista e corretta di una storia tutta italiana
L'attesa febbrile è finita: House of Gucci arriva finalmente nelle sale italiane, pronto ad accaparrarsi il successo che indubbiamente merita.
Sì, perché il film di Ridley Scott, tratto dal libro di Sara Gay Forden, House of Gucci – Una storia vera di moda, avidità, crimine – uscito ben venti anni fa, nel lontano 2001, stesso anno in cui la casa di produzione del regista ne opzionò i diritti - è appassionante e confezionato a regola d'arte, pur con tutte le sue pecche.
Il cast stellare composto da Lady Gaga, Adam Driver, Al Pacino, Jeremy Irons, Jared Leto e Salma Hayek si cimenta con una prova attoriale brillante, sebbene decisamente sopra le righe, e non è escluso che per alcuni arriveranno le sospirate nominations ai prossimi Golden Globe e Oscar. Lady Gaga - che con il taglio corto somiglia incredibilmente alla reale protagonista della vicenda -, Al Pacino e Adam Driver nella versione originale alternano anche alcune battute in italiano: a noi italici la loro pronuncia storpiata farà sorridere ma indubbiamente l'impegno c'è stato.
La caratura di Ridley Scott la conosciamo tutti e anche questa volta il regista ha realizzato un prodotto in cui ogni elemento, dalle performance alla fotografia, fino al montaggio, alla colonna sonora e alla ricostruzione di ambienti e costumi, si inserisce perfettamente in un disegno di ampio respiro che racconta, nell'arco di un ventennio di storia italiana, un episodio di cronaca ben noto in patria e che all'estero ha sempre suscitato curiosità e stupore.
Come già nel Gladiatore, in cui la narrazione degli eventi storici era ammantata da un ché di romanzato, anche in House of Gucci il regista, insieme ai due sceneggiatori Roberto Bentivegna e Becky Johnston, sceglie cosa e come raccontarlo, finendo per attirarsi le ire degli stessi eredi della famiglia Gucci che hanno visto nel film una rappresentazione non accurata dei loro predecessori e un'immagine fin troppo edulcorata di Patrizia Reggiani, dipinta quasi come la vittima di personaggi maschilisti, mentre non è stata altro che la mandante dell'omicidio di Maurizio Gucci.
Viene da pensare che il regista abbia realizzato un film per il pubblico americano, ignaro delle reali dinamiche che serpeggiavano tra i componenti della famiglia: ma il pubblico italiano, più attento e maggiormente a conoscenza dei fatti, grazie anche all'interessante documentario Lady Gucci, con protagonista la stessa Reggiani, e alla puntata di Storie Maledette in cui Franca Leosini ha intervistato niente meno che Pina Auriemma, si accorgerà ben presto di alcune differenze, di alcune lacune e di alcuni cliché che vanno a minare l'efficacia della narrazione e del progetto in toto.
Il rapporto tra la Reggiani e la Auriemma non è minimamente approfondito – gustatevi tuttavia l'entrata in scena di Salma Hayek, una sorpresa che vi strapperà una sonora risata -, viene nominata una sola figlia di Maurizio e Patrizia mentre sono due, il personaggio di Paolo, interpretato da Jared Leto, è una mera macchietta, inverosimile e forzata, e Roma sostituisce Milano in alcune scene fondamentali.
A questo proposito, va detto che, per noi romani, vedere il caratteristico quartiere Coppedè diventare il set di alcune tra le sequenze principali, è stato un grande orgoglio. Abbiamo affrontato le strade chiuse e il caos con l'ebbrezza di sapere che per le vie del Quartiere Trieste si aggiravano alcune tra le più famose stelle del firmamento hollywoodiano. Non è stata la prima volta e non sarà certo l'ultima ma in pieno periodo Covid, affacciarsi all'angolo di quei palazzi riccamente decorati, cercando di intravedere Lady Gaga&co, è stata un'ottima occasione di svago.
Quelli sopra citati sono dunque alcuni degli scivoloni in cui incappa il film di Scott che tuttavia tiene incollati alla poltrona dall'inizio alla fine; ed uno dei meriti è da attribuire senza dubbio alla favolosa colonna sonora che attraversa vent'anni di storia della musica e che sfrutta in maniera eloquente e catartica le arie più famose di alcune altrettanto celebri opere: si parte con La ragazza dal maglione, con cui Lady Gaga entra in scena camminando tra i camionisti della ditta di suo padre che fischiano apprezzamenti ai quali lei risponde sorridendo, e si prosegue con brani iconici tra cui Sono bugiarda di Caterina Caselli, Faith di George Michael, che incornicia il matrimonio di Maurizio e Patrizia, la famosa aria della Traviata, Libiamo dei lieti calici, che accompagna invece il focoso amplesso tra i due, passando poi per l'intramontabile I feel love di Donna Summer con la quale i neosposi fanno il loro ingresso nei lussuosi uffici di New York, Heart of Glass di Blondie, l'aria del Barbiere di Siviglia Largo al Factotum che fa da sfondo alla festa sul lago di Como, quella del Flauto Magico che segue la stravagante sfilata di Paolo Gucci ed infine Baby can I hold you tonight – per citarne alcuni - che chiude il film lasciando lo spettatore affascinato da una dinastia tanto potente quanto vittima delle proprie, numerose debolezze. Un po' come accadeva nelle soap opera cui gli anni '80 e '90 ci hanno abituati.
L'attenzione ai dettagli dell'arredamento e dei costumi è un altro degli assi nella manica del film ed anche il ritmo, senza ombra di dubbio coinvolgente, contribuisce a risollevarne le sorti: House of Gucci è un progetto sontuoso che, proprio come i suoi protagonisti, si rivela a tratti sproporzionato e sopra le righe ma non per questo noioso o deludente tout court.
Malgrado tutto, facendo leva sulla eccezionale interpretazione di Lady Gaga, l'ultimo film di Ridley Scott intrattiene e incuriosisce fino all'ultima inquadratura, fino a quelle didascalie che mettono fine a un'epoca e ad una storia di avidità e di tradimenti. Di quelle che solo le grandi dinastie sanno regalare.