Hostile

La prima sequenza di uccisione la abbiamo addirittura in anticipo rispetto ai titoli di testa e, in un certo senso, rimanda nel look ad una determinata tipologia di celluloide dell’orrore risalente a molto tempo fa. Perché, in fin dei conti, non è una malata atmosfera che sembra uscita direttamente da analoghe produzioni sfornate negli anni Settanta a risultare assente durante la visione di Hostile, primo lungometraggio diretto dal francese Nathan Ambrosioni che, autore in precedenza solo dello sperimentale The rush in tape, altro non è che il ragazzino qui immortalato nei filmati Super8 guardati in videocassetta.

Proprio così, in quanto è stato nel periodo in cui aveva un’età compresa tra i tredici e i quattordici anni che ha messo in piedi la vicenda della Meredith Langston alias Shelley Ward che, desiderosa di diventare mamma, adotta le orfane adolescenti Anna ed Emilie, ovvero le esordienti Luna Belan e Julie Venturelli, destinate ad avvicinarsi a giochi segreti che solo loro possono capire, mentre fanno fatica ad adattarsi al nuovo ambiente. Orfane adolescenti il cui arrivo in casa coincide con un evento inspiegabile che cambia drammaticamente il loro comportamento; tanto da spingere la donna a chiedere aiuto ad una trasmissione televisiva locale interessata a seguire i bambini durante il periodo di adattamento nelle famiglie adottive.

Ed è l’entrata in scena della camera di due giornalisti sicuri di avere per le mani uno scoop a favorire lo sfruttamento, a tratti, dell’ormai abusatissima tecnica pov, con evidenti rimandi a titoli che hanno fatto la storia del sottogenere found footage, dal chiacchieratissimo The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez allo spagnolo [Rec] di Paco Plaza e Jaume Balagueró. Senza contare il fatto che, tra possessioni diaboliche e quelle che sembrerebbero inquietanti presenze, è intravedibile anche qualcosa di Paranormal activity di Oren Peli e L’ultimo esorcismo di Daniel Stamm nel corso della circa ora e mezza di visione atta ad individuare sicuramente la sua pecca in una narrazione piuttosto confusa; testimoniando, comunque, capacità di sfruttare la tecnica e il sonoro per generare spaventi da parte di un cineasta minorenne in erba che potrebbe fare molta più strada (e buoni prodotti) di tanti colleghi adulti.