Heidi
In principio fu il romanzo scritto nel 1880 da Johanna Spyri, in seguito oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche, dallo Zoccoletti olandesi che vide protagonista nel 1937 la bambina prodigio Shirley Temple all’infinità di riletture televisive, passando, addirittura, per la versione curata nel 1952 dal nostro Luigi Comencini.
Trasposizioni comprendenti la mitica serie a cartoni animati realizzata negli anni Settanta dal gigante dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki e cui va ad aggiungersi questa co-produzione tra Svizzera e Germania diretta da Alain Gsponer, il quale, regista di Un fantasma per amico, già aveva dedicato alla piccola orfanella un cortometraggio datato 1998.
Piccola orfanella manifestante in questo caso i connotati della esordiente Anuk Steffen e che trascorre i giorni più felici della sua infanzia insieme all’eccentrico nonno Almöhi, il quale vive isolato in una baita immersa nelle montagne e cui concede anima e corpo il veterano della celluloide teutonica Bruno Ganz, vantante nella propria vasta filmografia Nosferatu – Il principe della notte di Werner Herzog e Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders.
E, ovviamente, mentre si occupa delle capre e gode della libertà e dei paesaggi mozzafiato, non manca neppure l’amico Peter qui incarnato dal debuttante Quirin Agrippi; fino al giorno in cui viene condotta a Francoforte da una zia con l’idea di farla vivere nella famiglia del ricco signor Sesesamann alias Maxim Mehmet e diventare una compagna di giochi per la figlia di quest’ultimo: Klara, costretta su una sedia a rotelle e con le fattezze di Isabelle Ottman.
Segnando l’inizio di una per lei inedita esperienza che, sotto la supervisione della severa governante Rottenmeier, ovvero Katharina Schuttler, da un lato la porta a scoprire una nuova amicizia e, soprattutto, un nuovo mondo, imparando anche a leggere e scrivere, dall’altro non può fare a meno di aumentare giorno dopo giorno la forte sensazione di nostalgia nei confronti della vita montana e dell’anziano parente.
Man mano che, rispettando fedelmente il materiale originale, l’amore familiare viene alternato alla immortale tematica dell’incontro-scontro tra due diverse classi sociali (in questo caso, quella rurale e quella urbana).
Senza eccedere in pretese tipicamente autoriali e non raggiungendo le vette del francese Belle & Sebastien di Nicolas Vanier (simile nell’ambientazione e derivato anch’esso da un cartoon nipponico), ma mostrandosi capace di emozionare ed intrattenere lo spettatore evitando irritanti manierismi e rivelandosi, in ogni caso, un prodotto al di sopra della media.