Hardcore!

“Non vorresti vedere un grande film d’azione interamente girato in soggettiva al cinema?”.

Pare sia stata questa la domanda che il russo Timur Bekmambetov – autore de I guardiani della notte (2004) e Wanted – Scegli il tuo destino (2008) – ha posto al filmmaker connazionale Ilya Naishuller dopo essere stato tra gli oltre cento milioni di viewers mondiali imbattutisi nell’irriverente ed innovativo video musicale Bad Motherfucker, realizzato come parte del suo “secondo” lavoro di frontman del gruppo punk Biting Elbows.

Una storia operistica, dura e raccontata interamente dal punto di vista del protagonista proprio come questo suo primo lungometraggio; di cui Bekmambetov è produttore e che, tenendo conto del fatto che la celluloide action ha sempre prosperato dove riusciva a dare la sensazione di partecipare a situazioni pericolose che nella vita reale la maggior parte delle persone eviterebbe, si fissa l’obiettivo di allontanare ulteriormente questo limite, permettendo al pubblico di vivere direttamente quelle sensazioni emozionanti e primordiali alle quali, di norma, assiste da una distanza più sicura.

Infatti, fin dall’apertura è una soggettiva che rimanda inevitabilmente al popolarissimo videogame Doom a dominare la oltre ora e mezza di visione quasi del tutto girata con macchine da presa GoPro ed equipaggiamenti creati ad hoc; nel corso della quale si apprende in maniera progressiva che il campo visivo in questione appartiene ad un certo – e non più troppo umano – Henry impegnato a ritrovare la moglie Estelle alias Haley Bennett che, dopo averlo riportato in vita, viene rapita dal malvagio Akan, interpretato da Danila Kozlovsky ed a capo di un gruppo di mercenari in possesso di un piano per dominare il mondo.

Un cattivo che richiama non poco alla memoria il Liquid Snake di Metal Gear, testimoniando soltanto un altro degli innumerevoli riferimenti all’universo videoludico, ricordato anche dalla scelta di porre di volta in volta una diversa canzone – da My girl dei Temptations a Don’t stop me now dei Queen – a fare da commento sonoro alle varie circostanze.

Senza contare una citazione musicale per la soundtrack de I magnifici sette (1960) di John Sturges, che, insieme all’eccellente Sharlto”District 9”Copley in una prova alla Peter Sellers nell’incarnare le buffe personalità del misterioso alleato Jimmy, provvede ad infarcire la dose d’ironia mirata in maniera evidente a stemperare la massiccia violenza a base di abbondanti spargimenti di cadaveri e liquido rosso.

Man mano che il serratissimo montaggio del veterano Steve Mirkovich assembla la sequela di veicoli distrutti, colpi d’arma da fuoco sparati a ripetizione e lunghi inseguimenti consentendo di concretizzare quello che è, di sicuro, un innovativo esperimento, tecnicamente lodevole e destinato in un certo senso a rappresentare un’evoluzione del pov alla The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair (1999), ma che, allo stesso tempo, non può fare a meno di rivelarsi un’arma a doppio taglio.

Del resto, se gli irriducibili smanettoni del joystick e della tastiera non faticano a provare una folle sensazione di divertimento nel riconoscere i disseminati omaggi a Call of duty e Mirror’s edge, lo spettatore ordinario rischia di essere presto rapito dalla noia... proprio come chi guarda le partite ai videogiochi portate avanti da altri.