Hammamet - Pierfrancesco Favino è uno schivo e decadente Bettino Craxi

Bobo Craxi, figlio di Bettino, intervistato in occasione dell’uscita dell’ultimo film di Gianni Amelio dal titolo Hammamet, dice che quella di suo padre “è una storia finita male”. Ma nessuna storia, in fondo, finisce male, e come la vita nel suo più o meno lungo corso ci insegna, una fine c’è sempre alla quale sempre e comunque sopravvive una Storia. La Storia che abbiamo visto, quella a cui abbiamo partecipato, quella che abbiamo fatto, e infine la nostra storia privata, quella che ci coinvolge in primis come esseri umani nella nostra intimità, fotografati nella nostra essenza, raccontati un passo prima dei ruoli che ricopriamo, dei lavori che facciamo, dei risvolti sociali e pubblici che le nostre azioni hanno sul mondo esterno.

Su questa falsa riga e similmente, anche se in maniera e con stile e risultati assai diversi, a quello che Marco Bellocchio ha splendidamente fatto con Tommaso Buscetta ne Il traditore (non a caso interpretato sempre dallo stesso eclettico Pierfrancesco Favino), Gianni Amelio ripercorre gli ultimi anni di vita di Bettino Craxi, un uomo rintanato nel bianco abbacinante della sua megavilla di Hammamet, seguito passo passo dalla scorta, a rimuginare sul suo passato politico, a rimpiangere il suo apice professionale, a meditare sulla sua vita in tramonto e su quel diabete subdolo che nemmeno troppo lentamente se lo porterà via. Hammamet scorge e ritrova dunque l’uomo prima vestito e poi spogliato del politico, del socialista, lo ritrova malmesso nel suo lussuoso “cantuccio” a cercare di dare un senso al tutto, anche se un senso (come dice Vasco) non sempre c’è, almeno a volerlo intendere in termini razionali e non emozionali. E quindi ancora, Craxi presidente e statista, deprivato del suo potere, che impunito cerca di preservare la memoria di ciò che è stato, di rievocarla (anche) attraverso il confronto con le poche persone rimaste vicine, in primis la figlia Stefania (che qui diventa Anita per volere del regista e per quel legame con il Garibaldi spesso rievocato dallo stesso Craxi).

Così va la Storia…

Gianni Amelio romanza l’ultima stagione di vita di Craxi con poca aderenza al reale (lo stesso figlio Bobo ha dichiarato dopo aver visto il film che la parte romanzata del film sovrasta di gran lunga la verità dei fatti) ma andando a rintracciare quel po’ di tenerezza che si concede a un uomo, burbero e mai troppo simpatico, in lotta con la salute e i tanti fantasmi del passato, braccato dai suoi molti scheletri nell’armadio, e non solo. Machiavellico, e dunque (da) sempre orientato al fine noncurante dei mezzi, il Craxi di Hammamet però presto sfuma e si perde dietro al volto irriconoscibile di un Pierfrancesco Favino che (proprio come ne Il traditore) porta il film sulle sue spalle, nella sua voce, nell’umiliazione curva e mai rassegnata di un uomo che di sicuro è protagonista di “una storia finita male” ma che è d’altro canto protagonista di una Storia recente e importante della nostra Italia corrotta e birbantella, da sempre incline a essere faccendiera e di malaffare, come sempre allineata alla corruzione normalizzata del “lo facevano tutti”, da sempre più politicizzata che politica. E dunque in questo marasma di suggestioni e rievocazioni controverse, nell’oceano traboccante vergogna di un passato malato incarnato da un uomo altrettanto poco in salute, a fare la differenza è proprio il confronto dell’uomo in primis con sé stesso.

Il  resto, tutto quello che ruota intorno al film e attorno alla controversa figura di Craxi, è tutto sommato compendio a un’interpretazione che ancora una volta riconferma le qualità camaleontiche e la profondità espressiva di Favino, uno degli attori più incisivi dell’ultimo decennio che, invece, porta a casa un’altra sua personale “storia finita bene”, un’altra interpretazione di livello che senza dubbio supera e ingloba i tentativi più o meno maldestri e più o meno riusciti di Hammamet opera, impelagata in un bilico troppo incerto tra biopic e fantasy romance. Ai posteri, comunque, resta l’ardua sentenza.