Hacksaw Ridge
La guerra in un modo o nell’altro fa sempre da spartiacque. Generando inesorabilmente un Prima e un Dopo. Alterando in maniera totale e per sempre le vite di chi vi ha preso parte, sia direttamente sia indirettamente, attraverso l’esperienza dei propri cari partiti e (nella migliore delle ipotesi) tornati dal fronte con l’orrore della morte negli occhi e il frastuono del conflitto nelle orecchie.
Con Hacksaw Ridge (in concorso al Festival di Venezia 73) il premio Oscar Mel Gibson torna sui temi della Guerra (seconda guerra mondiale, e nello specifico della località di Hacksaw Ridge nella battaglia di Okinawa, durante un feroce corpo a corpo di due lunghe settimane tra americani e giapponesi) e della Passione. Una passione che è qui intesa come vocazione, spinta interiore e spirituale cui il protagonista Desmond T. Doss, cresciuto secondo la fede degli avventisti del settimo giorno, dovrà aggrapparsi per portare a termine il suo ruolo di obiettore di coscienza e soccorritore su un campo di battaglia a dir poco cruento.
Tratto dalla vera storia di Desmond Doss, arruolatosi a 23 anni nell’esercito e che, senza aver ami imbracciato un’arma, salverà su quel terribile campo di morte 75 suoi compagni, Hacksaw Ridge è film canonico sul potere deteriorante del conflitto che prende però a prestito il valore della storia di questo eroico giovane per mettere in luce l’importanza della Fede, del sapere credere in qualcosa, anche quando tutt’intorno sembrano regnare solo buio, disperazione e morte. Fu infatti con il solo pensiero in testa di “Dio, ti prego, aiutami a trovarne un altro” che il ventitreenne Desmond Doss trascinandosi lungo un campo colmo di terrore e sangue, strappò da morte certa così tanti soldati da compiere un vero e proprio miracolo. Un ragazzo che per la sua fede, i suoi valori, la sua volontà di non scendere a compromessi con il proprio credo, e non aver dunque niente a che fare con le armi, era stato etichettato subito e senza riserve come un codardo, un vigliacco, e che invece si rivelò poi l’uomo più coraggioso di quella battaglia (e non solo), ottenendo la medaglia d'onore del Congresso in qualità di primo obiettore di coscienza della storia.
Mel Gibson tratteggia intorno alla parabola narrativa e al suo protagonista la profondità di valori che abitano – radicati - e muovono l’eroe sin da prima che le sue prodi gesta servano la patria. Dall’amore genuino per la bella infermiera divenuta presto sua sposa, passando per il legame profondo con il fratello, e fino al rapporto conflittuale con un padre (Hugo Weaving) alcolizzato e a sua volta vittima degli orrori di un’altra guerra, il Desmond Doss del bravo Andrew Garfield incarna il candore e segue il tragitto classico ma ispirato dell’eroe capace di farsi strada a suon di perseveranza e passione.
Due elementi che il Gibson regista ha sempre tenuto molto da conto (basti pensare al palese valore simbolico di titoli come Braveheart o La passione di Cristo) e che qui ritornano, stabili ed evidenti, inserendo in quel margine tra Prima e Dopo una discriminante unica e personale, ovvero quella di una Fede che regala all’occorrenza forza d’animo e di spirito senza eguali. Una storia di eroismo dunque simile ad altre, canonica ma equilibrata nei tempi (vita privata, addestramento, fronte), ma che la regia di Gibson riesce a immortalare nel suo simbolismo e paradosso più alti, ovvero la capacità di combattere una guerra feroce (e vincerla) senza armi in mano. La retorica c’è, e si vede, ma trova il suo controcampo nella presenza permeante di una alta e ‘giusta’ causa.
Piacerà senz’altro più al grande pubblico che alla critica ‘di nicchia’, e va senz’altro bene così…