Good kill
È vero che nessuno riesce a vincere in Afghanistan?
A diciassette anni dal fantascientifico Gattaca – La porta dell’universo (1997) e a nove dal thriller Lord of war (2004), il neozelandese classe 1964 Andrew Niccol torna a dirigere Ethan Hawke per calarlo in una vicenda ispirata a fatti realmente accaduti e a proposito di cui precisa: “Ambientato nel picco degli attacchi per mezzo dei droni, il film si concentra sui conflitti morali e i dilemmi legati all’utilizzo di questa nuova tecnologia. Questa, tuttavia, è anche una storia estremamente personale. Tommy sta diventando una vittima della guerra che sta combattendo a migliaia di chilometri di distanza, senza correre alcun rischio. È un pilota che piange la morte dei colleghi durante le missioni di volo reali e soffre di stress post traumatico sebbene non viva la guerra in presentia. Il maggiore si sta distaccando dalla vita reale, finendo per curarsi più degli obiettivi che colpisce e delle loro famiglie che della propria”.
Infatti, l’interprete di Giovani, carini e disoccupati (1994) e La notte del giudizio (2013) veste i panni del pilota di caccia Thomas Egan, il quale si trova quasi improvvisamente a comandare droni a Las Vegas e, dopo aver combattuto a distanza contro i Talebani per dodici ore, torna a casa, in periferia, dove litiga con la moglie Molly e i figli nel corso delle restanti dodici ore del giorno.
Moglie che possiede le fattezze della January Jones di X-Men – L’inizio (2011); man mano che lui inizia a mettere in discussione la propria missione, chiedendosi se stia creando più terroristi di quanti riesca ad ucciderne e se la guerra che sta combattendo sia senza fine.
Ma, se in un primo momento si prova quasi l’impressione di assistere ad un non dichiarato derivato di Top gun (1986) di Tony Scott, la oltre ora e quaranta di visione non tarda ad appiattirsi sull’abbondanza di dialoghi in interni che rischia quasi di far assumere all’operazione connotati non distanti da quelli delle più noiose e squattrinate produzioni della trash factory Asylum.
Tanto che, tra bersagli da colpire e tragiche immagini conseguenti all’impatto dei missili, perfino il difficilmente disprezzabile Bruce”Flight”Greenwood nel ruolo del tenente colonnello Johns appare del tutto sprecato nel corso di un logorroico insieme capace di conquistare, magari, soltanto i seguaci irriducibili delle storie d’ambientazione militare... spingendo il resto del pubblico a sprofondare in un sonno liberatorio.