Gli sdraiati: Francesca Archibugi adatta per il grande schermo l’omonimo romanzo di Michele Serra
Giorgio Selva (Claudio Bisio) è uomo maturo e professionista di successo, conosciuto e apprezzato da tutti, suo malgrado “gravato” da un matrimonio fallito e da un figlio adolescente che non riesce in alcun modo a gestire. Le energie quotidiane sono così tutte indirizzate al tentativo di comprendere quel figlio scalmanato e abulico, irrequieto e stanco, che non sembra mostrare curiosità nei confronti della vita, né tantomeno il minimo interesse verso la passeggiata al Colle della Nasca, uno dei luoghi preferiti di Giorgio e uno di quelli che vorrebbe da sempre condividere con il figlio Tito (Gaddo Bacchi). D’altro canto il ragazzo sembra invece circondato di persone e situazioni che non includono mai la figura del padre: il gruppo di amici, la ragazza, le serata a casa della madre o quelle trascorse stravaccato sul divano. Un’immagine, quella del figlio sdraiato e inerme su un qualche giaciglio, che Giorgio non comprende e forse in qualche misura non riesce nemmeno ad accettare. Un figlio che quel padre vorrebbe infine scrollare dal proprio sonno, riabilitare a nuove energie, o forse solo far assomigliare di più a se stesso.
Dopo Il nome del figlio Francesca Archibugi torna dietro la macchina da presa adattando per il grande schermo Gli sdraiati di Michele Serra, un breve romanzo di un centinaio di pagine di confessioni, condivisioni e riflessioni compiute da un padre, in pena, verso un figlio che appare non solo distante ma anche scarico, e fondamentalmente infelice. Sono due generazioni e due momenti generazionali che si confrontano in termini di modi di fare, laboriosità, sguardo sulla vita. L’orbita adulta che intercetta quella giovane pur non riuscendo a coglierne mai la traiettoria. Il bello di una passeggiata in montagna o di un temporale che si approssima nel cielo diventano così le immagini di distanza tra una generazione matura e ancora curiosa della vita in ogni suo dettaglio, e di una generazione giovane ma già stanca di tutto, tanto del paesaggio che la circonda quanto di quello interiore che la rappresenta. In mezzo ci sono tutti i fallimenti che danno peso agli spazi, quello di un matrimonio andato in pezzi, quello di un figlio incapace di elaborare la rottura del nucleo, e forse ancora più incapace di comunicarlo come origine del suo dolore, quello di un padre in affanno nel proprio ruolo di guida.
Non era facile adattare per il cinema un romanzo dalla matrice così eterea, riflessiva, e purtroppo il risultato non è dei migliori. Su una sceneggiatura scritta ancora una volta a quattro mani dalla stessa Archibugi e dal sodale Francesco Piccolo, la regista romana non sembra stavolta centrare l’obiettivo, mancato in vari modi e a partire da un cast che non trova nello stesso Bisio sufficiente eclettismo per passare dal registro leggero a quello più impegnato, pregnante, il registro che è poi alla base del romanzo. Gli sdraiati segue dunque in maniera quasi frenetica la girandola esistenziale di Tito, ne traccia le differenze con la ricerca ‘stanziale’ di Giorgio, e cerca poi di chiudere il cerchio tramite il gruppo, i gruppi che circondano i due uomini in cerca ‘d’autore’. Ma tutto appare troppo. Troppo carico, troppo borghese, troppo esasperato, e il tono che dai due protagonisti in poi ‘materializza’ il film non è mai sufficientemente pieno o compiuto. La presunta Guerra Finale tra i Vecchi e i Giovani che nel romanzo di Serra assumeva il profilo di un vero e proprio scontro sul campo di battaglia delle generazioni a confronto, qui è messa quasi del tutto fuori scena, e a farne le spese è lo sguardo di un film che invece di tratteggiare l’invadenza di una generazione che si scontra con l’ignavia dell’altra, sembra abbracciarle entrambe in un’oscillazione di ritmi e registri dove risaltano le sfumature ma sfumano i contenuti, quei contenuti che fanno del romanzo una ballata nostalgica sul cruccio d’esser padre avendo forse dimenticato cosa vuol dir esser figlio. Un’operazione incompiuta con diversi pregi – soprattutto registici – ma anche molti limiti.