Giulia – Tra voglia di vivere e paura di essere
Giulia (la sorprendente Rosa Palasciano) non ha una casa, non ha un lavoro, non ha un amore. Vorrebbe un figlio. E cerca tutto, o forse niente, in una calda estate romana che si mostra (anche) nella sua pungente inospitalità, come nell’odore acre di quei cassonetti strapieni che esalano olezzi nauseabondi. Aggrappata con le unghie alla sua ultima storia, in qualche modo legata al circolo degli anziani presso il quale conduce una tombolata o improvvisa un karaoke per sentirsi più viva e meno depressa, Giulia vaga in cerca di qualcosa, qualcuno, sprezzante degli schemi, amante fino in fondo della sua libertà.
Con i suoi shorts di jeans e la maglietta dozzinale che le scivola leggera sulle spalle, la Giulia di Ciro De Caro (qui al suo terzo lungometraggio dopo Spaghetti Story e Acqua di Marzo) è personaggio ambiguo che non si lascia sedurre, e (di contro) non fa alcuno sforzo per sedurre il prossimo. Smarrito ogni punto di riferimento, la giovane protagonista va in cerca del suo presente, fatto di cose piccole, di briciole di vita, di sesso occasionale, di giochi per bambini trovati a margine dei secchioni o riportati a riva dalle onde del mare. Quello stesso mare che sembra essere l’unico elemento in grado di darle un senso, una via di fuga, un po’ di libertà da quella vita “imbrigliata” che lei rifugge con tutte le sue forze. Attorno a lei si muove una girandola di personaggi quasi folcloristici (nota speciale per il critico di cinema che discetta sulle massime della settima arte – “come una scatola il cinema si apre, il cinema esce, si rivela…"), che la mollano, la cercano, le stanno accanto per un po’, e in qualche modo l’accompagnano in quel cammino (faticoso e lungo) che è la ricerca del sé.
Grazie anche e soprattutto al carisma di una protagonista semplicemente perfetta per la parte, Ciro De Caro realizza un film contemporaneo e universale. Provvisto di mascherine, gel per le mani, distanziamento, e di tutte quelle pratiche “oramai ordinarie” che ci riportano volenti o nolenti alla realtà degli ultimi anni, Giulia è d’altro canto un’opera che si muove leggera tra le ipocrisie della vita e dei nostri mille condizionamenti sociali. La protagonista rifiuta ogni catalogazione, e nelle sue volubili transizioni da ragazza timida e introversa a donna capace di imporsi con le sue (spesso ribelli) volontà, Giulia fa emergere la desolazione, la malinconia, e il profondo senso di solitudine che albergano un po’ in tutti noi. La storia di una disadattata, diremmo in maniera un po’ semplicistica. Ma è proprio in questa rarefatta parabola di “disadattamento” che De Caro inserisce quei tanti elementi che ci conducono, in realtà, a una nuova prospettiva. La maniera scontrosa in cui Giulia osserva e (spesso) sfida il mondo è invero anche forse l’unico mezzo per resistere alle mille difficoltà, talvolta vere e proprie “angherie”, che la vita ci impone. E allora invece della continua ottemperanza alle regole, al buongusto e al quieto vivere, forse a volte sarebbe bene – e bello - concedersi dei momenti di totale catarsi, proprio come quelli che vive Giulia, per dare sfogo alle proprie emozioni represse. Liberare un cavallo dal recinto, tuffarsi in un mare silenzioso. Per ricordare al mondo la nostra presenza, per ammonire il mondo di una nostra possibile assenza.
Un film con due anime: una divertente e sorniona, l’altra profondamente malinconica e drammatica. Da una parte la leggerezza di una narrazione che regala spensierate pillole di vita, dall’altra un sottotesto oscuro che fa emergere un malessere esistenziale avvolgente, che ci dimostra come possiamo in un attimo passare dalla luce all’oscurità, tuffarci senza remore in un mare mosso per salvare il prossimo, o rubare qualcosa al sogno di chi non c’è più solo per salvare noi stessi. Eppure siamo sempre noi, solo guidati da impulsi e necessità diverse, da un urlo di vita o da un sussurro di morte. Un realismo sincero, che a tratti si fa tangibile, e ci espone al malessere di un vivere ai margini, facilmente etichettati come “inadatti”. Anche se… pur sempre liberi di ballare boogie, boogie woogie all night long.