Gimme danger
Miscelando rock, blues, free jazz e rhytm and blues, posero all’inizio degli anni Settanta le basi per il genere musicale che sarebbe poi stato definito “punk”, in barba alla critica che li considerava allora spazzatura e anticipando storiche band come quella dei Ramones, citata dal giornalista e manager Danny Fields nel corso della oltre ora e quaranta di visione messa in piedi da Jim Jarmusch. È proprio lui, il cineasta americano autore di Ghost dog – Il codice del samurai e Solo gli amanti sopravvivono a ripercorrere su grande schermo la storia dei The Stooges, di cui fu leader il carismatico James Newell Osterberg che, meglio conosciuto come Iggy Pop e soprannominato iguana, gode anche di una non breve filmografia da attore (lo possiamo vedere, tra l’altro, ne Il corvo 2 e nel trashissimo Sharktopus vs whalewolf).
L’Iggy Pop che, tirando in ballo la vecchia commedia 12 metri d’amore di Vincente Minnelli, racconta non solo di quando, da bambino, suonava la batteria all’interno della grande roulotte in cui viveva insieme ai genitori, ma anche di come, ai tempi delle scuole superiori, faceva da batterista al suo gruppo The Iguanas, con lo strumento assurdamente montato sopra ad una pedana posta a quattro metri d’altezza. Regalando soltanto un paio dei curiosi aneddoti destinati ad emergere nell’assemblaggio di interviste, frammenti di cartoni animati d’epoca e immagini di repertorio destinato a rivelare posizioni politiche, ascesa e caduta dell’immarcescibile rocker – al quale, inoltre, Todd Hayes si è in parte ispirato per il personaggio di Curt Wild nel suo Velvet Goldmine – e dei compagni di palcoscenico Steve Mackay, Scott Asheton, Ron Asheton e Dave Alexander. Perché, chiaramente, non sono neppure le morti di questi ultimi due ad essere dimenticate; mentre, tra filmati riguardanti i Four tops, le Shangri-Las, i Dead boys e i Dictators, viene esplorato anche il percorso relativo all’uso delle droghe, dalla marijuana all’LSD, fino all’eroina.
Ed è da No fun a 1969 che spazia la colonna sonora di quella che si rivela la ricostruzione in fotogrammi di una anarchica carriera che ha portato ad incontri con Nico, i Velvet Underground, David Bowie e il genio della Pop Art Andy Warhol; man mano che si passa per le manifestazioni californiane dell’epoca “Peace & love” e che non mancano di essere menzionati, tra gli altri, Who, MC5, Jay and the Americans, Damned e Sonic Youth.
Fino ad arrivare alla reunion stoogesiana (ma con una nuova formazione) risalente al 2003, quasi al culmine di un’operazione a proposito di cui Jarmusch dichiara: “Gimme danger è più un saggio che un documento. È la nostra lettera d’amore per quella che probabilmente è stata la più grande band della storia del rock’n’roll. Racconta la loro storia, le loro influenze e il loro impatto, con filmati e fotografie mai viste prima. Proprio come The Stooges e la loro musica, è un film selvaggio, disordinato, emotivo, divertente, primitivo e sofisticato allo stesso tempo”.
Un film che si trasformerà senza alcun dubbio nell’oggetto del desiderio da custodire gelosamente per tutti i fan di coloro il cui ultimo album fu Raw power, ma che, a lungo andare, rischia in più occasioni di annoiare il resto degli spettatori.