German angst
Autore nel 2006 del cortometraggio Just like the movies e, sei anni più tardi, del documentario Zero killed, il tedesco Michal Kosakowski produce oltre un’ora e cinquanta di visione strutturata in tre episodi e di cui, inoltre, firma il secondo; incentrato su una coppia di giovani ebrei sordomuti che, grazie ad un amuleto forse magico, sembrerebbero riuscire a ribaltare i ruoli di vittime e carnefici in un drammatico incontro con un gruppetto di esaltati nazi-teppisti.
Una crudissima allegoria per immagini relativa alla forza pericolosamente conferita dal potere che, non priva di flashback ambientati nel 1943 durante l’Olocausto, sguazza tra ossa rotte e crani spaccati manifestando il sapore di determinati elaborati violenti di matrice britannica, ma, allo stesso tempo, rischiando di apparire tirata per le lunghe e piuttosto gratuita.
Una crudissima allegoria posta soltanto a seguito del segmento di apertura a cura di Jörg Buttgereit, ovvero l’artefice di quel tanto disgustoso quanto affascinante miscuglio di romanticismo ed esplicita necrofilia che fu nel 1987 Nekromantik e che, appunto, gli consentì di diventare il nome di punta dello splatter germanico degli anni Ottanta e Novanta.
Un segmento che, nell’inscenare la sadica tortura attuata con l’utilizzo di cesoie da una ragazzina in possesso di un porcellino d’India su un tizio legato al letto, si conquista istantaneamente i nostalgici fan del cineasta; i quali non solo ritrovano il suo riconoscibilissimo stile fatto di silenzi e squallore visivo, ma individuano anche più o meno evidenti rimandi ai precedenti lavori buttgereitiani.
Perché non mancano una sanguinosa decapitazione simile a quella vista in Nekromantik 2 e un consueto, atroce momento di castrazione proto-Schramm che, curiosamente, a differenza dei tempi d’oro del regista di Der todesking, avviene fuori campo.
Mentre l’Andreas Marschall cui si devono Lacrime di Kali e Masks chiude la trilogia tirando in ballo un individuo che, un po’ come i protagonisti di Tulpa – Perdizioni mortali di Federico Zampaglione, va in cerca di esaltanti esperienze sessuali in un locale dove, però, entra in contatto con radici di mandragora e relative conseguenze sovrannaturali.
Coinvolgendo nel cast anche Désirée”Morituris”Giorgetti e ricorrendo ad amplessi al liquido rosso con tanto di mutazioni concepite fortunatamente senza l’ausilio di effettistica digitale.
Per concretizzare il tassello visivamente più accattivante di un insieme che, in fin dei conti, non si rivela altro che un guardabile esercizio di stile atto a sintetizzare su quali binari si stia muovendo, nel XXI secolo, l’horror da schermo nella terra di cui, solitamente, a proposito di Settima arte vengono citati solo nomi del calibro di Werner Herzog e Wim Wenders.