Galveston - La splendida prova registica di Mélanie Laurent

Galveston riporta dietro la macchina da presa Mélanie Laurent, nota ai più nel ruolo di attrice – è in Bastardi senza gloria, Six Underground e nel recente Mia e il leone bianco – ed è una vera e propria sorpresa. Non solo perché forse le altre sue opere sono sconosciute se non addirittura inedite in Italia, ma anche e soprattutto per l'incredibile sostanza di questo suo ultimo lavoro.
Galveston è un noir in piena regola, che sfrutta al massimo gli elementi a sua disposizione, dall'ambientazione ai personaggi, dalle vicende alle tematiche trattate.

Il film è un adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo firmato da Nic Pizzolatto (qui anche sceneggiatore sotto lo pseudonimo di Jim Hammett) ed è stato presentato al South by Southwest nel marzo del 2018.
A distanza di più di due anni quindi, grazie all'inesauribile lavoro di Movies Inspired, abbiamo la possibilità di ammirarlo nelle sale a partire dal 6 agosto.

La storia è molto semplice e lineare: Roy (Ben Foster) è un sicario a cui è stato diagnosticato un tumore ai polmoni, prima di diventare il bersaglio di un doppiogioco; Rocky (Elle Fanning) è una giovane escort, finita in un giro pericoloso e con un passato impegnativo.

A fare la forza di Galveston è quindi questa composizione precisa, impeccabile, diretta. L'atmosfera che regna e invade ogni angolo più nascosto dà una sensazione di ineluttabilità. Pochi e preziossissimi sono gli spiragli in cui alla speranza è consentito entrare.
Lo spettatore, e così i protagonisti, sono costretti a goderne fino a che è possibile. Ed è veramente un intervallo breve, decisamente non sufficiente a trarre quel respiro di cui si avrebbe bisogno.
Roy e Rocky sembrano predestinati sin dall'inizio. Sebbene dal loro incontro qualcosa di bello e di importante nasca, e persino cresca, alla fine la vita li (ri)conduce a quella violenza, alla sofferenza, al sacrificio dai quali hanno tentato di fuggire. In un modo o in un altro sono schiacciati dalla realtà circostante.
E tutto ciò appare evidente in moltissimi gesti, battute, situazioni. Si è sempre sul chi va là, come se da un momento all'altro la spada di Damocle stesse per cadere sulle loro teste.

Simbolico a tal proposito il tornado di cui si presagiscono l'arrivo e la potenza a inizio film e a chiusura, in un ideale cerchio, coronato però da un piccolo, piccolissimo, messaggio di speranza. Ma è così: a Galveston non c'è spazio per l'amore, la serenità, la bellezza. Queste vanno trovate altrove, che sia uno sconosciuto accorso nel momento giusto, una spiaggia deserta e un oceano che più vasto non si potrebbe, un ballo in un locale mediocre.
Per questo la fuga diviene una necessità, e da essa si sviluppa la narrazione a mo' di road movie. Il passato però non smette di perseguitare, Roy e Rocky ne sanno qualcosa. Dal confronto e dal ricordo ne escono sempre e comunque sconfitti.

La Laurent è bravissima nel fotografare queste due figure disperate ma consapevoli, forse rassegnate ma mai arrendevoli. L'utilizzo splendido e suggestivo della musica la aiuta a dettare gli stati d'animo, a suggerire una delicatezza, una poesia, una tensione, un'ambiguità, là dove prima c'era solo un terreno arido. Probabilmente parte del merito va alla sua esperienza nell'ambito musicale, essendo lei stata compagna di Damien Rice per alcuni anni.
Fatto sta che il suo tocco femminile è determinante e pregevole. Basti guardare il modo in cui le figure femminili si avvicinano a Roy, avvolgendolo, scaldandolo, donandogli un briciolo di tenera normalità.

Una lode a parte la meritano entrambi i protagonisti, Foster e la Fanning, incarnazioni sofferenti e tangibili dei rispettivi personaggi.