Fuga da Reuma Park
Arrivare al traguardo delle nozze d’argento non è cosa da poco e, quando l’ardua impresa riesce, i festeggiamenti sono d’obbligo. Per celebrare i 25 anni di carriera, il Trio Aldo, Giovanni e Giacomo regala al pubblico una commedia in cui i tre si mettono coraggiosamente a nudo: canto del cigno, o rinascita da Araba Fenice?
Fuga da Reuma Park è il lavoro più intimista e surreale che Baglio, Storti e Poretti abbiano mai realizzato e, pur se generoso nei difetti, limitarsi a considerarlo in superficie senza scandagliarne il profondo significato, sarebbe un errore. Già, perché nonostante la sceneggiatura deboluccia e la non grande originalità delle gags (anche se qualche risata è garantita), la vera essenza del film sta nella capacità dei tre autori di ironizzare su chi già li vede nel viale del tramonto: 90 minuti di passato, presente, e futuro artistico. La trama è semplice: rinchiusi in un Luna Park adibito a ospizio, gli anziani Aldo, Giovanni e Giacomo decidono di tentare la fuga per godersi gli ultimi scampoli di vita a Rio de Janeiro.
Diretto insieme a Morgan Bertacca, il film trova i suoi momenti più esilaranti nella riproposizione di quei personaggi che negli anni ‘novanta tanto divertirono gli Italiani: il mitico Tafazzi, il cammello, lo struzzo, il condor. E, come in un revival d’altri tempi, scorrono sul grande schermo anche spezzoni teatrali in cui appaiono ‘il grande Pdor figlio di Kmer,’ e ‘gli acrobati bulgari’: questa è la comicità del Trio, e loro la rivendicano con sincera onestà. I tempi però sono cambiati, e se fino a vent’anni fa c’era ancora spazio per ridere del “terún” Aldo alle prese con i compagni nordici, oggi ci si sbellica dalle risa solo in presenza di flatulenze e grossolanità di infima lega, retaggio assai difficile da debellare. Ma, ai nostri tre moschettieri della comicità, che tempo addietro seppero portare nel mondo della commedia una rinfrescante ventata di novità, tutto ciò non è sfuggito, ed è per questo che Fuga da Reuma Park sembrerebbe rappresentare il loro testamento artistico, un lascito in cui però trapela la voglia di guardare al futuro senza rimpianti: voltare pagina evitando di tradire i tanti successi passati.
Non è dunque un addio quello che Aldo, Giovanni e Giacomo mettono in scena, semmai un arrivederci. Certo, qualche cosuccia qua e là dovranno sistemarla, perché agli spettatori non basta più – e come dar loro torto! – ascoltare vecchie battute o assistere a film scritti in maniera a tratti approssimativa, così come non è facile coinvolgerli in quel personale percorso che i registi, quasi fossero Pollicino, hanno tentato di tracciare: briciole sparse lungo il sentiero per ritrovare una rinnovata strada di casa. In quest’orgia natalizia di cinepanettoni e commediole demenziali, l’ultima fatica del Trio AG & G potrebbe rivelarsi per alcuni un piacevole momento di intrattenimento su cui riflettere, e per altri un eterno dejavu senza un perché.
L’occhio vede quel che la mente vuol vedere, ma il Trio, questo film, lo ha fatto con il cuore, e il cuore, si sa, ogni tanto suggerisce stranezze che non tutti sono disposti ad apprezzare. Peccato.