Fiore

Qui non siamo in Orange Is the New Black. Non c’è nulla di glam o posh in questa storia d’amore shakespeariana tra le sbarre perché dimentichiamo sempre che il bardo, gli innamorati delle tragedie, li ha sempre concepiti adolescenti. Qui siamo a Roma, nella Roma brutta sporca e cattiva delle periferie degradate, quella di cui nessuno vuole mai sentir parlare. Per girare al meglio questo pasoliniano Romeo e Giulietta a Casal del Marmo, Claudio Giovannesi ha speso sei mesi all’interno di quel carcere minorile misto (in cui i giovanissimi detenuti e detenute riescono, seppur in modo rocambolesco, ad interagire nonostante i costanti divieti) e molto di ciò che vediamo è reale, essendo stato indirettamente vissuto dal regista e dagli sceneggiatori durante il semestre di immersione nella realtà carceraria degli adolescenti, i quali sono stati condannati ma pur sempre giovanissimi rimangono, nel bene e nel male. Questo film è un inno alla libertà di vivere e di amare, senza catene, sempre e comunque.

Si tratta di un ritorno al tema a lui più caro, una splendida variazione di contenuto, per il giovane regista che, con Alì ha gli occhi azzurri (2012), in concorso alla 7ª edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, ci aveva già fatto vivere le vicende di due sedicenni ad Ostia, Stefano e Nader, attraverso sette giorni di ribellione ed il risultato finale era stato talmente brillante da fargli vincere il Premio Speciale della Giuria.

Purtroppo o per fortuna, come direbbe l’immenso Gaber, è reale anche la condanna scontata dal bravo protagonista maschile di Fiore ma è ormai storia passata perché il rapper diciottenne Josciua Algeri (vincitore del Festival Città di Caltanissetta nel 2014 con il brano A testa alta, interamente composto in carcere e divenuto recentemente papà di una bimba, nata otto mesi fa), ora vuole fare l’attore (ha già seguito un corso di recitazione teatrale nel carcere Beccaria di Milano) è le buone premesse affinché ciò accada ci sono tutte. Non è stato possibile fare tutte le riprese a Casal del Marmo ed il regista ne ha sapientemente riprodotto ambienti ed atmosfere nel carcere minorile de L’Aquila: "Alla fine, abbiamo trovato a l'Aquila un carcere esattamente come lo cercavamo, dichiarato inagibile dopo il terremoto e poi ristrutturato, ma ancora non consegnato. C'erano perfino le guardie carcerarie ma la struttura era ancora vuota. Alla fine, i detenuti li abbiamo portati noi."

Perfettamente in parte e particolarmente misurato il buon Valerio Mastandrea, brillante veterano del miglior cinema italiano, nei panni dello scapestrato papà di Daphne (splendida l’idea dei brani lasciati nel lettore mp3 che la figlia ascolterà in carcere, ideale colonna sonora di gioia e libertà – come l’immortale Sally di Vasco Rossi - in un luogo che, per definizione, rappresenta l’opposto), la quale rappresenta il vero fiore di questa produzione. Daphne Scoccia (scoperta casualmente dal regista mentre lavorava come cameriera in un’osteria) è obiettivamente bravissima e tenendo conto della giovane età e del suo non essere un’attrice professionista, ciò colpisce particolarmente. Il bilanciamento delle emozioni che ci regala, la serietà con cui le rappresenta, la dolce rabbia selvatica che incarna, unita ad un sorriso di una bellezza rara, disarmante, rendono Fiore, portabandiera italiano nella Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2016, un gioiello ed una visione da non perdere. La reazione del pubblico della Croisette ne è testimonianza evidente.

Non perdete, quindi, la storia d’amore di Daphne e Josh perché le loro avventure, le loro fughe, i loro meravigliosi istanti di sospensione dalla realtà, la loro corsa degna del miglior Truffaut, ci ricordano che: “La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia”.