Figli: l'ultima opera di Mattia Torre è un invito a restare
Nel luglio 2019, all'età di soli 47 anni, ci lasciava uno degli autori più geniali e genuini che il nostro Paese abbia mai avuto la fortuna e l'onore di esibire.
Noto ai più per la scrittura delle serie cult Boris, Mattia Torre ha al suo attivo una serie di opere, non tantissime ma tutte di grande sostanza, dalla letteratura al cinema, passando per piccolo schermo e teatro, che in qualche modo hanno raccontato un pezzo della sua (e della nostra) Italia.
Da ultimo, Figli, la pellicola diretta da Giuseppe Bonito e ispirata ad un monologo dello stesso Torre, portato brillantemente in scena da quel Valerio Mastandrea, amico intimo dell'autore e protagonista del film.
Sara (Paola Cortellesi) e Nicola sono una coppia come tante, giovani e innamorati, con una bambina tanto voluta quanto amata. L'arrivo del secondo figlio sarà ciò che mettera in pericolo gli equilibri sin lì creati, portando a galla tutte le paure, i dubbi, le difficoltà, di una famiglia ai tempi d'oggi.
Figli si apre su una finestra spalancata – e attenzione perché il dettaglio sarà utile a capire molte cose nel corso della narrazione, assumendo un significato profondo all'interno della vicenda – mentre un piano sequenza porta lo spettatore a fare la conoscenza dei protagonisti, impegnati in una discussione vivace su chi faccia cosa e chi non faccia abbastanza.
Veloce salto all'indietro e così ha avvio la storia di Sara e Nicola, tra i corridoi di un ospedale, in attesa del piccolo Pietro, ad interrogarsi su cosa voglia dire la battuta “1+1 fa 11” riferita alla nascita di un secondogenito.
Ecco allora che la pellicola, evidentemente figlia del lavoro svolto con la serie La Linea Verticale, sempre di Torre, esibisce tutta la sua particolarità ed il suo fascino irresistibile: una carrellata sulle varie tipologie di coppie/genitori mostra esattamente come è strutturato oggi il nostro Paese, che è un paese per vecchi, bloccato alla cosiddetta “crescita zero”, dove non esistono genitori giovani e capaci di crescere i propri figli in maniera anche spericolata ma comunque sana.
Dal punto di vista registico, le trovate che rendono il progetto qualcosa di assolutamente fresco, originale e divertente, benché la situazione alla base sia tragica, sono tante – dai cartelli tipo film muto alla suddivisione in capitoli, passando per degli emblematici costumi di Carnevale e per la sonata n.8 di Beethoven – e sempre ben supportate dalla voce fuori campo di Mastandrea, alla quale si deve quel mix unico e inimitabile di ironia e tristezza che da il giusto mood. Merito anche di una sceneggiatura semplicemente impeccabile, capace di fotografare la realtà meglio di un cecchino e di dare peso a quelli strati più problematici che la compongono: da un lato la generazione dei 40enni senza un apparente futuro ma con qualche briciolo di speranza ancora attivo, dall'altro quella degli anziani che sono ormai una vera e propria forza in grado di compiere un colpo di stato se solo volessero.
Dai confronti/scontri tra le varie figure in campo, emerge forte (e talvolta esplicito) il disamore dell'autore nei confronti di un paese e di un popolo che avrebbe forse tutti gli elementi per essere felice e realizzarsi, ma che si perde dentro un bicchiere d'acqua, sprecando ciò che gli viene offerto.
Ecco allora che la scelta di restare – e di non gettarsi da quell'iniziale e simbolica finestra – assume un valore straordinario, fondamentale nella vita di coppia e in famiglia, una scelta eroica tanto quanto avere un secondo figlio.
Interrogandosi sul senso della vita e su tutto ciò che ad essa è legato, Figli mette in scena, con uno sguardo estremamente ottimista e speranzoso, uno spaccato realistico, attuale, in qualche modo stanco, della società di oggi. Una società minata da chat di classe, feste organizzate, scarsa comunicazione, suoceri noncuranti, dove sono fondamentali la casualità, il senso di appartenenza e quello della comunità, le piccole cose che sono in fondo le più importanti ma anche “le più difficili da fare”.
Lode a parte alle splendide prove attoriali – Mastandrea e la Cortellesi, ex nella vita ma sempre grandi amici, esibiscono un affiatamento e una sintonia imprescindibile ed emozionante – e all'utilizzo geniale della musica (a cura di Giuliano Taviani e Carmelo Travia).