Festival di Berlino: Diritti inalienabili e lotta per l’identità (di)svelano la mujer fantastica di Sebastián Lelio

Santiago Del Cile. Marina Vidal (Daniela Vega) festeggia il suo compleanno in compagnia di Orlando (Francisco Reyes), imprenditore tessile di vent’anni più grande con una famiglia alle spalle, e per il quale prova un amore sincero, e corrisposto. Innamorati e felici, i due compagni e amanti trascorrono insieme una notte d’amore intensa, in attesa di consumare il viaggio-regalo alle cascate di Iguazu. Ma la notte non avrà l’epilogo sperato. Nel pieno del sonno, Orlando accuserà infatti un malore, e la corsa disperata verso l’ospedale non basterà a salvarlo. Da quel momento in poi inizierà per Marina un lungo calvario, legato non soltanto alla perdita dolorosissima dell’uomo che amava, ma anche al circuito di eventi che quella morte metterà in moto. Il pregiudizio, l’accusa infondata, la ricerca di un capro espiatorio da parte della famiglia di Orlando metteranno in discussione (con un crescendo drammatico) la figura di Marina, e la sua realtà di donna, compagna, amante, riaprendo riflessioni amare e dolorose ferite su una conferma di identità che la donna sembra dover dimostrare lottando, sempre e ogni giorno.  

In concorso per il Cile alla 67/ma edizione del Festival di Berlino, il regista argentino naturalizzato cileno Sebastián Lelio (che con Gloria nel 2013 e sempre al Festival di Berlino aveva portato a casa l’Orso d’argento per la miglior interpretazione femminile per Paulina Garcia) presenta Una mujer fantastica, ovvero una donna fantastica, che poi è la protagonista Marina. Lei, dopo aver perduto l’uomo che ama, si troverà infatti a dover fare i conti col suo essere transgender in una realtà circostante (leggi società) che fa finta di non vederla, e addirittura, ne calpesta senza ritegno i diritti cercando in lei delle colpe che non esistono. Cameriera e aspirante cantante lirica, Marina lotta quindi contro quel senso di ‘disprezzo’ e ‘oltraggio’ che lei stessa canta prendendo a prestito l’aria di Geminiano Giacomelli “Sposa son disprezzata”.

E nel momento più alto del film di Lelio, che di intuizioni e vibrazioni ne ha tante (anche se non tutte e sempre perfettamente allineate e centrate), Marina cammina al centro di una bufera di vento che le rallenta il passo fino, lentamente, a fermarla. Un fermo immagine simbolico e poetico che racchiude il senso di quest’opera delicata e dall’estetica dirompente, che nei punti migliori ricorda l’Almodovar dei tempi d’oro, riempito di emozione dall’ottima interpretazione di Daniela Vega, e inficiato in parte da un andamento non sempre ‘rettilineo’. Peccato. Perché pur se non del tutto compiuto, e di certo lontano dalle vette qualitative del connazionale Pablo Larrain (che produce l’opera), il film di Lelio mostra un cuore, sviscera una passione sincera, e indaga una sana voglia di riaffermare i diritti inalienabili di ogni essere umano, mettendo in scena la lotta quotidiana contro un mondo ostile e la forza di spirito necessaria ogni giorno per restare, a ogni costo, fedeli a sé stessi.