Festa del Cinema di Roma: The Place, cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che più desideri?

Paolo Genovese è ormai un regista maturo.
Questo è il primo assioma che deriva dalla visione di The Place, film presentato in chiusura della XII festa del Cinema di Roma.
E’ maturo per il coraggio dimostrato nel portare sugli schermi un format così complesso pur nella sua essenzialità, e così stramaledettamente televisivo, come la serie televisiva statunitense The Booth at the End, andata in onda nel 2010. Complesso perché è praticamente privo di azione, televisivo perché la tempistica delle puntate, non superava i trenta minuti. Ci vuole dunque coraggio, e grande considerazione dei propri mezzi espressivi, per portare al cinema una sceneggiatura fatta esclusivamente di dialoghi, primi piani e rappresentata  in un unico ambiente, un bar nel quale interagiscono tutti i personaggi del film.

Una scommessa, dunque. Una scommessa , tutto sommato, vinta dal regista nato a Roma cinquantuno anni fa. Vinta perché riesce ad addolcirci la paralisi dell’azione sfruttando le sue doti di ormai navigato regista. L’alternanza delle fasi del giorno, mattina, pomeriggio, sera, notte rappresentate con una fotografia molto accurata scandiscono i tempi inevitabilmente lenti, restituendo un’idea di movimento e sviluppo della trama,  così come la scelta della varietà delle angolazioni di ripresa. La bravura degli attori tutti, una sfilza di interpreti italiani (Mastandrea, Giallini, Ferilli, Rohrwacher, Puccini, Papaleo, D’amico, Borghi, Lazzarini, Marchioni) che fa piacere ascoltare e guardare fa il resto. Perché un film fatto esclusivamente di dialoghi e primi piani non poteva prescindere da un accurato ed approfondito lavoro sugli attori e la recitazione. Il risultato corale è di assoluta qualità (diciamo il massimo che ci si poteva attendere).

Tecnicamente, dunque, il film è promosso a pieni voti, bella anche la colonna sonora che riempie le pause come un robusto rum condisce un babà.

Il punto meno convincente è invece, a mio parere, l’impianto filosofico dell’opera. Vuoi per l’estrema indeterminatezza di alcune risposte a domande fondamentali che il film ti porta a fare, indeterminatezza chiaramente voluta dagli autori, che lasciano al pubblico la libertà di fornire la propria interpretazione, ma che non aiuta a comprendere esattamente il messaggio dell’opera. Vuoi perché è sempre molto difficile percorrere il confine tra un film di intrattenimento ed un’opera dai contenuti più di spessore. Si rischia spesso di rimanere sospesi in un limbo poco attraente.  
Perché tutta l’opera si fonda sulla risposta a questa fondamentale domanda: cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che maggiormente desideri? Mastandrea, Mefistofele o l’arcangelo Gabriele, ispira stragi e predice gravidanze, ha tutte le risposte, o, meglio, pensiamo che le abbia finché anche a lui non viene proposto un patto….