Festa del Cinema di Roma: Prendre le large. Gaël Morel dirige una storia di crisi personali e lavorative non del tutto a fuoco
Quando Edith Clerval (Sandrine Bonnaire) scopre di essere in procinto di perdere il suo lavoro di operaia in un’azienda tessile quasi non si scompone, e anzi accusa il colpo molto meglio delle colleghe, accettando quasi senza batter ciglio la proposta di delocalizzazione offerta dall’azienda. La nuova sede di lavoro è però Tangeri (in Marocco), e dunque lo spostamento lavorativo offerto non pone la donna solo di fronte a una difficoltà logistica, ma anche di fronte a una difficoltà esistenziale ed emotiva legata al fatto di lasciare il proprio ‘habitat’ per andare a confrontarsi con un luogo e una cultura completamente diversi. Ma Edith è sola, la casa in cui vive è per lei oramai troppo grande, e il rapporto con il suo unico figlio - trasferitosi da tempo a Parigi - in profonda crisi. Per tutte queste ragioni la decisione di partire pur di non perdere il lavoro sembra l’unica possibile, o quantomeno la più logica da intraprendere.
Prendre le large, ovvero prendere il largo, salpare. Nella fattispecie, l’occasione che dovrà cogliere Edith di fronte a una realtà lavorativa che non le lascia scelta se non quella di cambiare vita pur di continuare a lavorare. Ma la realtà marocchina si mostrerà per la protagonista (nonostante le sue ottime intenzioni e motivazioni) sin da subito molto ostile, costringendola a subire una sorta di ‘mobbing’ sociale, e un crescendo drammatico di situazioni che metteranno fortemente in discussione quella scelta. Anche se, poi, il legame con Mina e suo figlio, gestori dell’albergo in cui vive, le darà speranza di credere che quella nuova vita sia comunque o in qualche modo possibile.
Il film di Gaël Morel parte bene con l’idea di affrontare da un’ulteriore angolazione (ovvero quella di una donna costretta ad ‘emigrare’ pur di tenersi stretta la propria occupazione) la crisi sempre profonda del mercato del lavoro e di ciò che ne consegue per le tante, troppe esistenze coinvolte. Ma a differenza dei lavori francesi esemplari su questo tema , Prendre le large mischia al tema occupazionale anche il discorso su un’esistenza femminile marcata dalla solitudine, ferita nel proprio ruolo di madre, rimasta sola a vivere una vita che non sente più sua. Ed è proprio nel far confluire queste due tematiche (e dinamiche) che, specie nella seconda parte de film, l’opera di Morel si perde, smarrisce il suo fuoco, e la deriva a ridosso del finale è così grossolana da inficiare in qualche modo la credibilità generale della storia.
Sandrine Bonnaire dal canto suo si cala con coerenza e fiducia nella parte di una donna defraudata della propria identità, e che si dimena (con ogni energia possibile) pur di riconquistarla, ma l’incertezza del film ha la meglio anche su di lei, e il rimarcato indugiare su un esistenzialismo/intimismo (inflazionate le scene di ‘sospensione’ riflessiva in riva al mare) che esula dal tema principale, a poco a poco “consuma” anche senso e sentimento dell’opera. Peccato!