Farha: un'opera prima che è un omaggio al valore della vita
Presentato nella Selezione Ufficiale della 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma, Farha di Darin J. Sallam narra le vicende della giovane palestinese (Karam Taher) che dà il titolo al film. Costretta a rifugiarsi in una dispensa per il cibo, ricavata da una grotta, Farha sognava di studiare in città. L'arrivo di guerriglieri la separa dalla sua migliore amica, Farida (Tala Gammoh), e dal padre (Ashraf Barhom), lasciandola da sola, al buio, con una piccola fessura da cui osservare l'esterno. Nel corso dei giorni, che diventeranno settimane e poi mesi, diventa testimone della tragedia che si consuma, dell'umanità che perde completamente i suoi connotati, della disperazione che impera. La trama è ispirata a eventi realmente accaduti: siamo a metà del Novecento, in un piccolo villaggio palestinese, al termine dell'invasione britannica.
La pellicola di Sallam è un'opera prima dotata di un'intensità e di un carattere potentissimi. Per tutto il tempo in cui Farha è rinchiusa, lo spettatore vive insieme a lei uno stato di angoscia, di claustrofobia e di solitudine impressionanti. Gli occhi della protagonista sono l'unica fonte di informazione, ma la sua è una visione parziale. Sono i rumori, le voci e i suoni intorno a costituire la sua realtà, e spesso sono dei peggiori. Il pianto di un bambino abbandonato a morire di stenti, colpi di armi da fuoco, donne che gridano implorando e pregando.
Ed è appunto, forse, solo la preghiera che permette a Farha di non impazzire. Credere in qualcuno o qualcosa che veglia su di lei, nella speranza di rivedere i suoi affetti, le dà un motivo per andare avanti. Il cambiamento fisico accompagna ovviamente quello psicologico, la debolezza si percepisce anche e soprattutto nelle allucinazioni, che di tanto in tanto si affacciano nella mente della ragazza.
Ciò che più sconvolge è la consapevolezza che il destino toccato a Farha riguarda milioni di persone in tutto il mondo. La tragicità della situazione emerge in maniera preponderante, proprio perché in principio abbiamo visto due teenager scambiarsi opinioni, consigli, segreti. Il sogno di un'istruzione che per alcuni è un'utopia – come per Farha – si infrange davanti alla disumanità della guerra. Non ci sono, né mai potranno esserci, vincitori e vinti, ma solo vittime.
La Sallam scrive e dirige un film che è anche un atto di accusa, un importante documento che merita di essere tramandato e valorizzato, un inno al valore della vita. Farha ha la naturale capacità di emozionare e di far riflettere, entrando nel cuore (e negli occhi) del suo pubblico. Duro, asciutto, necessario, non sorprende sia stato scelto tra i titoli in concorso al Toronto International Film Festival. E si rivela una delle migliori proposte della kermesse capitolina, che a volte sa davvero scovare dei gioielli dalle cinematografie straniere.
Incredibilmente meritevoli le prove attoriali, in primis quelle della quasi esordiente Taher e di Barhom (già apprezzato nella serie Tyrant).