Everybody knows: Asghar Farhadi apre Cannes 2018 con un’analisi sulle scelte e sulle loro implicazioni, morali e non
In occasione delle nozze della sorella, Laura (Penelope Cruz), in compagnia della figlia Irene ma senza il marito Alejandro (Ricardo Darin), fa ritorno in Spagna al suo villaggio natale dove ritrova tutta la sua vita passata e quel vigneto un tempo appartenuto alla sua famiglia che è ora gestito dal suo vecchio amore Paco (Javier Bardem) assieme alla consorte. Un momento di festa, ritrovo e affetti non solo per lei ma per tutti i presenti che sarà però presto messo a tacere da un tragico e inaspettato evento. Una circostanza che riporterà a galla il peso del passato, in un corto circuito di eventi e rivelazioni destinati a riaprire il vaso di pandora della famiglia tutta.
In apertura al Festival di Cannes edizione numero 71°, l’acclamato regista iraniano Asghar Farhadi porta in scena un cast di prim’ordine (Penelope Cruz, Javier Bardem, Ricardo Darin), per confezionare un drama-thriller che ancora una volta scava nel tarlo del dilemma morale, esistenziale, emotivo, per generare una riflessione ampia sulle scelte fatte e sul loro, inevitabile, peso specifico all’interno di una vita.
Attorno a una grande famiglia spagnola immersa in una dimensione rurale di vigneti e forte prossimità fisica, Farhadi determina una rottura che come in molti altri suoi film (About Elly, Il passato, ma anche il recente Il cliente) è strettamente legata alla scomparsa, a un cambiamento netto che determina poi per forza di cose una ricerca frenetica e ossessiva della verità e dell’origine delle ‘cose’, e che porta anche inevitabilmente a galla segreti inconfessati e verità controverse. Una sparizione che diventa il tassello mancante in un puzzle di relazioni disfunzionali e di rapporti controversi.
Inusualmente prolisso e verboso, Everybody knows (ovvero tutti sanno), ruota attorno all’evidenza di un titolo che mette alla berlina un segreto di pulcinella dove solo chi in fondo dovrebbe sapere, di fatto, non sa. E se dal punto di vista concettuale e registico il film conferma il talento oramai assodato del pluripremiato autore iraniano, d’altro canto la disamina dei rapporti e dei sentimenti centrali alla storia sembra invece qui perdere spesso di forza, trasformando soprattutto la parte centrale dell’opera in una soap d’autore dove la suspense del thriller lascia spazio alla prevedibilità degli eventi, a una messa in scena troppo ‘parlata’ e recitazione sopra le righe in cui anche la prova della Cruz viene fortemente penalizzata.
Un livello quindi in generale più basso di quello a cui ci ha abituati l’autore iraniano, il cui ultimo film Il cliente, Premio Oscar 2017 come Miglior Film straniero, era un’opera dalla perfezione chirurgica, ma comunque salvato da una mano autoriale sempre valida e da un finale che recupera la migliore cifra del cineasta chiudendo la riflessione sul dilemma morale ed etico e sviscerando il percorso di quelle scelte che nella vita determinano altre scelte, in una circolarità di forma e senso che nell’epilogo (ri)trova classe e stile. La sequenza finale di confronti ultimi e risoluzioni tra i personaggi segna infatti uno dei momenti più alti di quest’opera che si rivela molto più pop delle aspettative e che risente forse di un imprinting un po’ troppo commerciale che sembra non essere molto nelle corde del regista, ma che a conti fatti risulta in linea con un’apertura festival comunque dignitosa.