Escobar
Al solo nominare Pablo Emilio Escobar Gaviria viene in mente il detto: “non si muove foglia che Escobar non voglia”. E di quali foglie stiamo parlando se non di quelle della cocaina? Pablo Escobar, il più noto narcotrafficante di sempre, nasce a Rionegro e cresce a Medellin, in Colombia. El patrón, come venne soprannominato dai suoi fedelissimi, raggiunse l’apice della carriera delinquenziale negli anni Ottanta, quando, grazie alla sua organizzazione criminale cartello de Medellin, fu nominato dalla rivista Forbes come l’uomo più ricco del mondo. La vita e la personalità di Don Pablo hanno sempre affascinato molti tra scrittori e registi, a quest’ultima categoria appartiene Andrea Di Stefano, attore italiano che mettendosi per la prima volta dietro la macchina da presa realizza un film intenso e convincente: Escobar, una bella sorpresa oltre ogni aspettativa.
Nick è un giovane surfista canadese che, arrivato in Colombia con l’intento di aprire un piccolo locale sulla spiaggia, si ritroverà ben presto coinvolto in loschi traffici: Maria, la bella ragazza di cui si è innamorato, è infatti la nipote di Pablo Escobar…
Il regista romano, che ha inspiegabilmente dovuto attendere più di due anni perché il suo lavoro trovasse una distribuzione anche in Italia, attraverso una storia fittizia mostra al pubblico le tante facce che si celano dietro il mito del Robin Hood sudamericano, per alcuni, e lo sprezzante carnefice, per altri. Grazie alla notevole interpretazione di Benicio Del Toro, Andrea Di Stefano sottolinea quanto el patrón fosse un individuo colmo di contraddizioni: fervente cattolico, capofamiglia esemplare, padre amorevole, e al tempo stesso assassino senza scrupoli, despota torturatore, bandito incallito. Entrando visceralmente nei panni del protagonista, l'attore portoricano fa dimenticare allo spettatore di non essere davanti al vero “re della cocaina”. Il Don Pablo di Del Toro, folta chioma sempre in disordine, sguardo perennemente di traverso, gravato nel fisico e con evidenti manie di onnipotenza, modula il tono della voce sulle sole frequenze di basso, diffondendo in sala una pura atmosfera di terrore: una sorta di Padrino purtroppo realmente esistito.
Nonostante in Escobar si faccia abbondante uso di flashback, non si assiste mai a cali di tensione o cadute di tono, e Di Stefano, regalando lunghe, eleganti e adrenaliniche scene di azione, dà prova di saper usare egregiamente la telecamera. L’ottima sceneggiatura, scritta dallo stesso cineasta, rende la narrazione piacevolmente fluida e dinamica, e la combinazione di immagini violente alternate a inquadrature cariche di tenerezza offre, dell'ambiguo personaggio di Rionegro, una visione tanto ipnotica quanto feroce. Più che giocare la carta della violenza esplicita, Di Stefano preferisce in effetti puntare le fiches sul tavolo verde del conflitto psicologico: uno scontro di cervelli tra il grasso, lento e carismatico gatto di Medellin, e il magro, veloce e imprendibile topo del Canada.
Josh Hutcherson, Nick, e Claudia Traisac, Maria, affrontano i loro ruoli senza alcun tentennamento, peccato però che al cospetto del gigante Del Toro le loro interpretazioni si sciolgano come neve al sole. Escobar è un’opera prima di tutto rispetto, ben equilibrata, ben diretta e magistralmente recitata. 120 minuti di grande suspense che catturano l’attenzione del pubblico in una escalation emotiva estremamente accattivante.
Certo è che Andrea Di Stefano, oltre a regalarci un bel film, ci ha anche fatto dono di una scena indimenticabile: Del Toro/Escobar che canta la versione ispanica del brano di Domenico Modugno Dio Come ti Amo. Nessun dubbio, con questi fotogrammi il prezzo del biglietto è abbondantemente ripagato!