Elegia americana: l'emozionante parabola di J.D. Vance raccontata da Ron Howard
Disponibile su Netflix e candidato agli Oscar per la Miglior Attrice Non Protagonista (Glenn Close) e per il Miglior Makeup & Hairstyling, Elegia americana è basato sull'omonimo libro di memorie scritto da J.D. Vance.
Ex Marine e studente di legge a Yale, J.D. (Gabriel Basso, Super8) ha passato gran parte della sua infanzia a lottare contro i demoni personali della madre Bev (Amy Adams), tossicodipendente e mentalmente instabile. Al suo fianco ha sempre avuto la sorella Lindsay (Haley Bennett, I magnifici 7) e la nonna Bonnie (Glenn Close), la quale non ha mai fatto mancare nulla ad entrambi, né l'affetto né le strigliate.
La nuova impresa firmata da Ron Howard – la sceneggiatura è di Vanessa Taylor – è stata seguita da una scia di critiche e polemiche sin dalla sua primissima apparizione. Ma quali che siano le motivazioni, condivisibili o meno, va altresì riconosciuto l'impegno del cineasta e della sua intera troupe nel dare vita a un'opera quanto mai completa ed emozionante.
Le performance degli attori rappresentano, in un certo senso, lo scheletro su cui poggia l'intera struttura, e costituiscono un sostegno di primissimo livello. La Adams sembra aver ormai compiuto il passo in più verso una personalità artistica a tutto tondo, capace di portare in scena una principessa delle favole o una madre distrutta dalla dipendenza alle droghe con la medesima credibilità. La Close non ha più nulla da dimostrare – e speriamo possa essere questa l'occasione per un tanto atteso e meritato riconoscimento – ma dà l'ennesima magistrale prova, con l'incarnazione di una donna tutta d'un pezzo, rigida seppur spezzata nel profondo, consapevole di quali responsabilità gravino sulle sue spalle ormai anziane. Simile sotto tanti aspetti i due nipoti, interpretati dai bravissimi Bennett e Basso: i due giovani attori sfruttano la sintonia che li lega, per dare realismo a una fratellanza così preziosa da garantire loro la sopravvivenza, in un microcosmo familiare quasi malato.
La forza di un progetto come Elegia americana è da rintracciarsi innanzitutto nella creazione dei pesonaggi. Come abbiamo visto, questa non ha nulla da invidiare a nessun altro titolo del genere. Grazie anche a una base solida e stratificata come il memoir di Vance, Howard riesce a tratteggiare uno spaccato di umanità vera e particolarmente viva. Riferimenti cinematografici (e non solo) a cui viene da pensare nel corso della narrazione sono per esempio American Pastoral di Ewan McGregor e la miniserie Sharp Objects, sempre con la Adams protagonista. Al centro di queste storie raccontate a mo' di parabola, il punto di vista dei figli ha un ruolo privilegiato. È infatti attraverso i loro ricordi e le loro vicende che entriamo in contatto con una realtà di provincia fatta di segreti, sofferenze, scelte opinabili e strascichi indelebili.
Di flashback in flashback, la storia di vita di J.D. e della sua famiglia prende forma. Il ragazzo ne ha passate di tutti i colori, ma è grazie ai suoi trascorsi che è diventato l'uomo che è oggi. Nel percorso di crescita è stata ovviamente fondamentale la presenza della nonna, senza la cui guida non avrebbe forse mai imboccato la strada della giurisprudenza. Ma a fare la sua fortuna è stato anche l'incontro con la bella Usha (Freida Pinto), che ha saputo mostrargli una prospettiva familiare differente, in qualche modo più semplice e serena. Il rapporto di J.D. con le donne è fondamentale ai fini della comprensione e dell'empatia nei suoi confronti. La sua moralità, le sue azioni, sono state plasmate da coloro che lo hanno amato, protetto, consigliato e supportato, ma anche attaccato quando necessario.