È stata la mano di Dio - Napoli-Roma A/R
C’è un prima e c’è un dopo nell’ultimo film di Paolo Sorrentino.
Il prima è un amarcord pittoresco e decadente abitato da mitologiche figure tra il grottesco e la macchietta che non arricchiscono né impreziosiscono la già spessa schiera di personaggi ai limiti che, opera dopo opera, vanno ad infoltire la fitta tela del regista napoletano, poi romano, poi napoletano.
Qui, nel gravido territorio dei ricordi adolescenziali, c’è la burla, la caricatura, mozzarelle di bufala che scolano su pellicce, risse familiari che scoppiano come temporali estivi, c’è la Napoli che non amiamo, quella che si esalta per la “mano” di Maradona, assurgendola a gesto rivoluzionario e liberatorio delle aggiogate plebi del mondo. Pur trasfigurato dall’acquea rimembranza degli occhi del bambino diventato ragazzo, il terreno su cui ci si muove è infido e paludoso, si rischia di rimanere impastoiati nelle orride sabbie mobili dei cliché.
Ci sono, però, segnali, seminati qua e là, di qualcosa che sta per esplodere, come una bottiglia di champagne che agiti, agiti, agiti… Un Sergio Leone che non riesci a vedere in video cassetta, una sorella che non esce mai dal bagno, un’Oriana Fallaci di cui non finisci il capitolo che stai leggendo… Agiti, agiti, agiti, finché il tappo non salta con un grosso botto, di quelli che ci si tappano le orecchie. E’ il botto, la deflagrazione, è il drammatico evento che a metà del film, come una sliding door, muta il campo magnetico del film. Il Sud diventa Nord, l’Est Ovest.
La cognizione del dolore fa la sua trionfale entrata con stridore di denti e fuochi pirotecnici. E allora il grottesco diventa poesia (il rumore delle onde riprodotto alla luce della luna o un’apparizione fantasmagorica nella piazzetta di Capri più silenziosa che mai), la burla ironia (“Fumatela, è la parte migliore del sesso” la battuta della signora nobile, algida, dopo aver compiuto il suo ruolo di educatrice sentimentale), l’amore fraterno un valido sostegno per la tua esistenza claudicante. Di Maradona ti ricordi solo la grandezza e anche un regista presuntuoso e arrogante può diventare il Virgilio (il protagonista cita spesso la Divina Commedia) che ti indica la via insegnandoti la virtù della perseveranza.
E allora, il dopo, è magico, misterioso, mistico: i piani sequenza che planano sulla baia di Napoli, i voli radenti sulle acque del mare, i profili delle sue isole, la suadente luce dei suoi palazzi, le sue piazze, le sue gallerie e, infine, la commozione mossa dalle note di Napulè, nella scena finale del treno. Un omaggio riverente e appassionato alla città del regista, quasi doveroso, quasi a volersi far perdonare di aver fatto il suo film più bello, parlando della città dove quel treno lo sta portando.