Drive my car: un lento viaggio verso la guarigione.
Un uomo, una donna e una Saab 900 rossa per un road movie dove il silenzio vale più di qualsiasi parola.
Yûsuke Kafuku (Hidetoshi Nishijima), un attore e regista teatrale che non riesce a superare la perdita della moglie Oto (Reika Kirishima), accetta di dirigere una versione multilingue di “Zio Vanja” per un festival di Hiroshima. Lì conosce Misaki (Toko Miura), una giovane donna silenziosa incaricata di fargli da autista e di guidare la sua macchina. Viaggio dopo viaggio, superate le reciproche riluttanze, Kafuku e Misaki lasceranno affiorare segreti e confidenze…
Nuova stella nel panorama del cinema nipponico, Hamaguchi Ryusuke sta collezionando successi in molti festival cinematografici. Il regista si era fatto conoscere a Locarno 2015 con Happy Hour, mentre Asako I & II era già stato in concorso a Cannes 2018. A breve distanza dall’Orso d’argento Gran Premio della Giuria della Berlinale 2021 con Il gioco del destino e della fantasia, il giovane autore ha ottenuto il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2021 con Drive My Car, un adattamento libero di un racconto breve del grande scrittore Murakami Haruki.
Il film di Hamaguchi si estende per 179 minuti per circoscrivere una domanda tanto vasta quanto cruciale: come continuare e, soprattutto, reimparare a vivere dopo una tragedia?
Da qui forse la scelta simbolica della città in cui si svolge la storia.
Dovremmo fidarci della bellezza dell'arte? Rifugiarci nell'illusione, nel miraggio di un nuovo inizio? O cedere al male per esorcizzare i demoni della gelosia e dell'assenza?
Hamaguchi incontra Murakami, gioca con ?echov e costruisce un’altissima riflessione sul potere del linguaggio, sui labirinti dell’amore e del dolore, e sulla capacità di rapportarci alle altre persone.
Drive my Car è un film lento, forse troppo lungo, ma è il tempo necessario a Kafuku per piangere e per sanare definitivamente le sue ferite.
Ma è anche una riflessione sulla compenetrazione degli attori tra vita personale e vita professionale. Nel film i personaggi interpretano altri personaggi, preparano e provano ripetutamente e instancabilmente un adattamento teatrale di Zio Vanya, e i testi dello spettacolo sembrano ricalcare le emozioni dei loro protagonisti intrecciandosi così col reale.
Kafuku, interpretando zio Vanja, soffre nel pronunciare le parole di ?echov che sono per lui come una porta aperta sulla sua intimità, che dicono tutto quello che non osa dire.
Tutto è magistralmente interpretato e filmato (sguardi, silenzi…), e la sceneggiatura fluida è straordinariamente seducente.
La messa in scena del cineasta nipponico lavora per moltiplicare linee e riflessioni, a margine dei dialoghi dove regna il non detto. Quando, ad esempio, Kafuku si cambia nel camerino all'inizio del film, il giovane attore con cui la moglie sta per tradirlo appare in uno specchio, indicando un gemellaggio tra i due uomini e prefigurando come il drammaturgo scoprirà poi l'infedeltà di Oto, ovvero attraverso un riflesso.
Il protagonista non affronta mai la moglie per il suo tradimento, ma il testo di ?echov gli permette di dire meccanicamente cose come "la mia vita è perduta" e "quella donna non merita perdono per la sua infedeltà” ad alta voce nella privacy della sua auto mentre studia la sua parte.
La sceneggiatura di Drive my car - scritta a quattro mani dal regista insieme a Takamasa Oe - riesce a intrecciare con rara delicatezza tutti i fili dei diversi complessi destini dei personaggi che a poco a poco impariamo a conoscere, capire e amare.
Nonostante tutto il tradimento al centro di questo dramma, l'essenza della storia risiede nella fiducia che la vita richiede di riporre l'uno nell'altro.
Kafuku mette la sua vita nelle mani di Misaki, le lascia la sua preziosa auto e lei controlla quella Saab con una tale sicurezza che Kafuku spesso dimentica di essere in macchina lasciandosi andare a racconti intimi e profondi. La Saab rossa protagonista della pellicola è per Kafuku un rifugio sicuro dai propri problemi e da verità che non desidera affrontare. La concessione di far guidare la propria macchina ad una sconosciuta diventa quindi il processo attraverso il quale il protagonista potrà accettare il proprio dolore e condividerlo con qualcuno, riuscendo così ad andare avanti.